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Braccianti, così il coronavirus ha peggiorato le condizioni di vita e di sfruttamento a Rosarno

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Settimo Rapporto sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro. Condizioni di sfruttamento e abitative sempre più precarie su cui ha inciso anche il Covid19. Il sociologo Omizzolo: “L’irregolarità è aumentata nei campi”

ROMA – Condizioni di sfruttamento lavorativo, strutture alloggiative precarie, difficoltà di accesso ai diritti fondamentali e alle cure. A cui da marzo si sono aggiunte le conseguenze dell’emergenza coronavirus, peggiorando la situazione. A fotografare la condizione dei braccianti della Piana di Gioia Tauro, è il rapporto annuale di Medici per i diritti umani (Medu) dal titolo La pandemia a Rosarno. Per il settimo anno consecutivo, infatti, la clinica mobile di Medu ha operato in Calabria, durante la stagione di raccolta agrumicola, fornendo prima assistenza sanitaria e orientamento sull’accesso ai diritti fondamentali ai circa 2mila lavoratori che popolano gli insediamenti precari sparsi nei Comuni di Rosarno, San Ferdinando, Drosi (frazione del Comune di Rizziconi) e Taurianova. Oltre all’assistenza medica e all’orientamento sanitario, Medu ha garantito un’attività sistematica di supporto socio-legale. Il team ha inoltre portato avanti un costante intervento di informazione, prevenzione e sorveglianza attiva per il Covid-19 dal momento che gli insediamenti precari non sono stati raggiunti da nessuna iniziativa istituzionale di sistema per la prevenzione e il contenimento del virus.

La pandemia ha peggiorato la condizione dei braccianti

Come ricorda il sociologo Marco Omizziolo nel testo la pandemia di Covid 19 non ha risparmiato le sue campagne. “Una diffusa retorica istituzionale ha elogiato i lavoratori e le lavoratrici che hanno continuato a lavorare, anche nella fase più dura dell’emergenza pandemica, per produrre, trasformare e trasportate i beni necessari al soddisfacimento dei bisogni degli italiani – sottolinea Omizzolo -. Tra gli “elogiati dallo Stato” ci sono buona parte dei 450 mila uomini e donne, italiani e migranti, che ogni giorno sono sfruttati nelle campagne italiane, all’interno di una filiera agro-alimentare contaminata da un capitalismo predatorio che lavora, in alcuni casi, in associazione con organizzazioni mafiose, con la grande distribuzione e con spregiudicati faccendieri di diversa appartenenza professionale”. Secondo le stime dell’Osservatorio Placido Rizzotto, sarebbero 400.000/430.000 i lavoratori agricoli in Italia che ogni anno sono irregolarmente impiegati, reclutati da “caporali” e gestiti in regime di dipendenza nell’ambito delle loro attività lavorative quotidiane. Di questi, poco più di 132.000 sono impiegati in condizione di grave vulnerabilità sociale e forte sofferenza occupazionale, che causano gravi patologie e il rischio quotidiano di perdere la vita a causa di incidenti sul lavoro. Alcuni arrivano al suicidio. Inoltre, secondo le prime stime dell’Osservatorio Rizzotto durante la fase Covid si registra un aumento tra il 10% e il 20% del numero dei lavoratori sfruttati. “Un aumento che si manifesta nella duplice direzione del peggioramento delle condizioni lavorative e dell’aumento dell’orario giornaliero di lavoro – sottolinea Omizzolo -Si consideri che, nel corso del biennio 2018-2019, il tasso di irregolarità lavorativa in agricoltura era del 39%. Durante invece il periodo Covid-19, in particolare nella fase 1, stando ai primi risultati registrati, il tasso di irregolarità risulterebbe giunto al 48%. Ciò significa che quasi un lavoratore/ici su due, in agricoltura, durante la pandemia, è stato impiegato in modo irregolare”. A fronte di ciò, ricorda il sociologo: “si è assistito ad una crescita esponenziale del senso di impunità degli sfruttatori che impiegano lavoratori e lavoratrici in modo irregolare, in ragione della sospensione dei controlli nelle aziende agricole da parte di ispettori e forze dell’ordine, spesso invece impegnate nel controllo solo su strada nei riguardi dei cittadini rispetto alle prescrizioni anti-Covid”. Ancor più drammatica, durante il Covid, è stata la situazione dei migranti che vivono nei ghetti del Paese, “in spregio ai diritti umani, del lavoro e costituzionali – continua Omizzolo -. D’altro canto, sono vigenti in Italia ancora i Decreti Sicurezza (come la legge 132/2018) che per volontà dello Stato hanno prodotto una grave emorragia di diritti per persone che, titolari in precedenza di un regolare titolo di soggiorno (per motivi umanitari) e collocate in un sistema di accoglienza controllabile, sono state poi costrette a disperdersi nel territorio, condannate al l’emarginazione e allo sfruttamento”.

L’accesso a condizioni di vita dignitose resta un miraggio

Il report documenta come l’accesso a condizioni di vita dignitose siano ancora un miraggio, complici le condizioni lavorative e le pratiche illecite ampiamente diffuse, a cui si aggiungono la carenza di controlli e l’assenza di efficaci misure di contrasto alle illegalità. La gran parte delle patologie riscontrate dal team clinico di Medu rappresentano uno specchio delle pessime condizioni igienico-sanitarie, lavorative e abitative in cui è costretta a vivere la popolazione bracciantile della Piana di Gioia Tauro: emarginazione sociale, stigmatizzazione, promiscuità abitativa, carenza di elettricità e servizi igienici, mancanza di acqua potabile e riscaldamento negli insediamenti informali, condizioni lavorative disumane, alimentazione scorretta o insufficiente. Inoltre, la crescente precarietà delle condizioni giuridiche in seguito all’entrata in vigore dei Decreti Sicurezza e gli effetti della pandemia da Coronavirus hanno avuto un impatto peggiorativo sulle condizioni di vita, di lavoro e sulla salute fisica e mentale dei lavoratori stranieri. Il 90% delle persone assistite era regolarmente soggiornante. Di queste, i due terzi erano richiedenti asilo, titolari di protezione internazionale e altri tipi di protezione e il 25% era in fase di rinnovo o conversione della protezione umanitaria. In realtà, il primo Decreto Sicurezza (ottobre 2018) ha abolito la protezione umanitaria, che negli anni passati rappresentava il titolo di soggiorno più diffuso tra i braccianti, lasciando ben poche possibilità di regolarizzazione ai molti lavoratori che, a causa delle diffuse irregolarità contrattuali subite (lavoro grigio), non possiedono i requisiti per la conversione del titolo di soggiorno in motivi di lavoro. Secondo Medu, inoltre, il recente provvedimento di sanatoria troverà nella Piana di Gioia un’applicazione molto limitata a causa di numerose e rilevanti criticità.

Manca la volontà politica di cambiare la situazione

Secondo Medu a mancare è la volontà politica e di una pianificazione strategica volte ad incidere in modo significativo sul gravissimo fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori stranieri in agricoltura nella Piana di Gioia Tauro. “L’arrivo della pandemia che è stato un evento sanitario e sociale drammatico, avrebbe potuto rappresentare un’occasione di forte discontinuità per affrontare in modo nuovo e deciso la drammatica situazione dei braccianti – spiega l’organizzazione –  Medu torna a chiedere l’adozione di misure immediate e di lungo periodo per il contrasto dello sfruttamento bracciantile, il superamento dei ghetti e la promozione della legalità.”

Da redattoresociale

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