La proposta di Conte di prorogare sino al 31 dicembre o al 31 ottobre lo stato d’emergenza è da considerare una misura prudenziale che tiene conto che il coronavirus non è stato ancora eliminato e continua a minacciarci. La polemica dell’opposizione sulla proroga è strumentale, ma solleva una questione vera. L’uso frequente dei decreti del Presidente del Consiglio (DPCM) ha messo allo scoperto l’indebolimento del Parlamento e della sua funzione legislativa a causa del mancato accordo tra maggioranza e opposizione, e delle diversità di opinioni nella stessa maggioranza. Intanto, si è creato un precedente molto pericoloso per la democrazia parlamentare. La destra che accusa Conte di violare la Costituzione è la stessa che ieri rivendicava i pieni poteri per non essere intralciata dal Parlamento. Se domani dovesse tornare al Governo che uso farebbe dei DPCM? Riproporrebbe l’eliminazione di qualsiasi controllo antimafia e anticorruzione negli appalti?
Mi auguro che qualcuno rifletta sull’abolizione delle gare per le opere pubbliche sino a 150 mila euro che attenua i controlli nel 53% degli appalti. Tutti i più recenti processi in tale materie riguardano il pactum sceleris tra amministratori e funzionari comunali corrotti e imprese in odore di mafia. Nel frattempo ancora non si è proceduto a potenziare l’Anac e rinnovare gli organi di governo in scadenza come richiesto dagli stessi dirigenti Anac.
Mentre da mesi gli organi per la Privacy e l’Agcom, enti di vigilanza per la trasparenza, sono privi di governance certa.
Nel frattempo sono cresciuti di numero i sindaci minacciati dalle mafie e i comuni sciolti per corruzione (13 solo in Sicilia), mentre seguendo le polemiche politiche quotidiane tra maggioranza e opposizione sembra che mafia e corruzione non siano più un problema, grazie all’efficace repressione delle forze dell’ordine e della giustizia.
Se finora l’emergenza del Covid 19 è stata fronteggiata e contenuta, tutto sommato con una valida azione a livello centrale, regionale e comunale, la strategia di medio e lungo termine, aldilà dei pronunciamenti e delle promesse, rimane ancora fluida e incerta. A livello europeo la trattativa per il Recovery Fund è in corso, sul MES sono note le diverse tesi all’interno della maggioranza di governo e del centrodestra, mentre incombono le elezioni del prossimo autunno, la riapertura delle scuole, l’andamento presente dell’economia che, come tutti temiamo, potrà generare una larga protesta sociale. La Sicilia non sfugge a queste forti preoccupazioni. L’ARS sembra scomparsa dalla scena politico–sociale, il governo Musumeci aspetta sempre i soldi da Roma su cui fa ricadere la responsabilità del suo immobilismo e l’incapacità di spesa mentre si aggravano le disuguaglianze e le dimensioni sociali della povertà.
Le disuguaglianze non è solo di reddito e di produzione, ma di istruzione, sanità, sicurezza di qualità ambientale e di vita in generale.
Il Covid-19 ha evidenziato la fragilità socio-economica e territoriale del paese dopo oltre trent’anni di politiche neoliberiste che hanno ridotto la spesa per i servizi e per il diritto al lavoro in nome del mercato globale.
Occorre ripensare allo sviluppo del paese, per recuperare le aree in ritardo, per riabitare le aree interne e quelle marginali, per integrare le periferie con i centri urbani da riqualificare culturalmente e socialmente superando il processo di gentrificazione di questi anni.
Tutto ciò è possibile se lo Stato garantisce gratuitamente a tutti i cittadini, ovunque abitino, diritto allo studio, alla salute, alle tecnologie digitali, al risanamento ambientale e la possibilità di un lavoro.
I gravi problemi infrastrutturali non possono fermarsi alle grandi opere, senza considerare le condizioni di isolamento in cui vivono migliaia di comuni in Italia.
In Sicilia basta dare uno sguardo alle infrastrutture stradali delle ex provincie per avere un’idea del degrado e dell’isolamento di tante comunità.
Ma come sarà possibile rivitalizzare le aree industriali o i distretti produttivi senza investimenti al Sud come al Nord e al Centro?
Chi sostiene prima il Sud e poi il Nord o viceversa, sbaglia obiettivo.
La rimonta del Paese o avverrà con uno sforzo unitario di tutti o non ci sarà.
Ripensare in questo senso anche le autonomie speciali regionali potrà dare un’ulteriore spinta in avanti, ma occorreranno classi dirigenti competenti di alto profilo culturale e votate al bene comune.