Vi avevamo raccontato settimane fa la storia di Mohamed Monir, 65 anni, giornalista egiziano arrestato con l’accusa di diffondere notizie false e rinchiuso nella prigione di Tora, la stessa in cui è detenuto Patrick Zaki.
Oggi Monir è libero… ma morto.
Sì è ammalato in carcere di Covid 19 e non ce l’ha fatta.
Era ricoverato in ospedale da alcuni giorni dove oggi è deceduto senza poter rivedere i suoi familiari.
“Nostro padre stava solo esprimendo il suo diritto di opinione. Le sue parole non hanno mai incitato alla violenza. La sua morte è una profonda ingiustizia” è l’accusa dei suoi figli.
Monir è solo l’ultima vittima del governo egiziano che continua a reprimere la libertà di stampa nel Paese.
Il giornalista eea stato prelevato da agenti di sicurezza in borghese dal suo appartamento a Giza il 12 giugno. Attraverso un comunicato la sua famiglia aveva fatto sapere che alcuni giorni prima il 65enne aveva pubblicato filmati di sorveglianza sulla sua pagina Facebook che mostravano decine di poliziotti pesantemente armati che facevano irruzione nella sua casa per perquisirla quando lui non si trovava lì.
Dopo aver postato quelle informazioni, di Monir si erano perse le tracce fino a quando il 15 giugno era apparso davanti ai pubblici ministeri che ne hanno ordinato la detenzione preventiva di 15 giorni con l’accusa di aver diffuso notizie false, di fare propaganda per un gruppo terroristico mezzo stampa e anche attraverso i social media.
La famiglia del giornalista aveva fatto sapere che poco prima dell’arresto Monir era intervenuto in diretta su Al-Jazeera, televisione del Qatar di cui il governo egiziano ha da tempo vietato le trasmissioni.
Oltre a collaborare con l’emittente qatarina, il collega egiziano era editorialista del quotidiano al-Diyar ed ex vicedirettore del giornale Al-Youm Al-Sabae, conosciuto come “Settimo Giorno”.
L’arresto di Monir aveva suscitato la ferma reazione e la condanna del Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), nonché del sindacato dei giornalisti locali. Anche la Federazione internazionale dei giornalisti era
subito intervenuta per chiedere la scarcerazione del membro del Sindacato egiziano dei giornalisti.
Il ministero dell’Interno, interpellato sulla questione, non aveva rilasciato commenti.
Dopo la deposizione del presidente islamista Mohamed Morsi nel 2013, tra proteste di massa contro il suo governo, le autorità egiziane hanno chiuso la rete di Al-Jazeera e arrestato molti dei suoi giornalisti, accusando l’emittente di fornire una piattaforma per i nemici dell’Egitto, in particolare il gruppo estremista dei Fratelli Musulmani.
Il generale diventato presidente, Abdel Fattah al-Sisi ha da subito messo in campo una dura repressione del dissenso, stroncando le critiche al governo e incarcerando migliaia di persone.
Le autorità egiziane usano la Procura antiterrorismo per imprigionare oppositori politici e attivisti.
Le organizzazioni per la libertà di informazione denunciano da tempo che Al Sisi usi i poteri avvocati a sé per l’emergenza coronavirus come ‘copertura’ per intensificare la repressione.
Il sindacato dei giornalisti egiziani ha convocato a giugno una riunione del consiglio di emergenza per discutere “dell’ assedio imposto alla libertà di stampa”.
Monir era il quarto membro del sindacato a essere arrestato nelle giro di poche settimane.
“Le autorità sanno che coloro che sono stati arrestati non hanno alcun legame con atti di violenza o di istigazione a compierla”, aveva scritto il segretario Mohamed Saad Abdel Hafiz su Facebook.
“Silenziare tutti e diffondere la paura è il loro obiettivo, non solo per i giornalisti, ma per tutti coloro che esprimono un’opinione o una posizione diversa in questo Paese”, aveva aggiunto Hafiz.
Secondo il Cpj l’Egitto è al terzo posto nella classifica dei paesi con il più alto numero di giornalisti in carcere, dopo Cina e Turchi
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