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Polonia, vittoria risicatissima di Duda, opposizione alle calcagna

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Voto in Polonia, rilanciamo questo articolo di Leonardo Benedetti pubblicato da East Journal.

Dopo una lunghissima notte di spogli elettorali, sono stati comunicati questa mattina i risultati del voto presidenziale.

L’uscente Andrzej Duda è stato riconfermato presidente con il 51,21% dei voti validi, contro il 48,78% del suo sfidante, il sindaco di Varsavia Rafał Trzaskowski. Uno scarto di poche centinaia di migliaia di voti con un’affluenza record quasi al 70%, simbolo di una Polonia mobilitata e spaccata a metà. Alla conta mancano ancora i voti dei polacchi all’estero, ma la distanza tra i due candidati è incolmabile secondo il presidente della commissione elettorale centrale polacca. Duda e il PiS possono festeggiare.

Il candidato ideale

Duda ha tentato nel corso del suo mandato di spogliarsi dal costume di mera pedina di partito, riuscendo a costruire intorno a sé un gradimento popolare che gli ha garantito ieri il secondo mandato presidenziale. Nel momento della verità si è affidato completamente al suo partito, complice anche il voto diventato presto un referendum sul PiS. Non sono mancate delle offensive ben calcolate durante la campagna elettorale, soprattutto in queste due settimane prima del ballottaggio, quando Duda necessitava di serrare i ranghi tra le fila dei suoi elettori tradizionali, contrapponendo nettamente gli interessi delle grandi città a quelli dei piccoli centri, da lui difesi a spada tratta.

Negli anni della sua presidenza Duda ha capito quando era il momento di “contrastare” il PiS, simulando un disaccordo o rifiutandosi talvolta di firmare le leggi emanate dalla maggioranza parlamentare del suo stesso partito. L’orizzonte della sua politica è stato quello di apparire come un presidente moderato rispetto ai falchi del PiS, senza però mai mettere realmente in discussione l’indirizzo politico imposto da Kaczyński al parlamento e al paese. Ha saputo quindi smarcarsi dalla morsa del PiS ribaltando i rapporti di forza nel suo stesso partito, finendo per candidarsi alle elezioni formalmente come indipendente, raccogliendo solo successivamente l’appoggio della maggioranza di governo.

La sua affermazione si è concentrata sulle politiche sociali che il PiS ha messo in atto sin dalla sua vittoria alle urne nel 2015. Il suo elettorato è concentrato nelle zone rurali del paese, soprattutto nel sud cattolico e nell’est contadinoLe grandi città sono tutte in mano all’opposizione (Varsavia, Cracovia, Danzica, Łódź, Breslavia, Poznań), ma oltre il 70% della popolazione della Polonia vive in zone classificabili come rurali o semi-rurali. Né il centro-destra liberale né la sinistra hanno scelto di parlare a queste persone, lasciando praterie politiche all’affermazione di Duda e del PiS tra le classi sociali meno abbienti. Una dicotomia città-campagna o centro-periferia che accomuna la contemporaneità in moltissime aree d’Europa e che in Polonia spacca il paese.

Con la rielezione di Duda di ieri e la vittoria elettorale alle politiche dell’ottobre del 2019, il PiS si è assicurato la guida del paese per almeno i prossimi tre anni.

Altri cinque anni di Duda

In cima all’agenda politica di Duda rimane la gestione dell’emergenza pandemica. La Polonia si è mossa velocemente per contrastare la crisi sanitaria con un graduale ma tempestivo lockdown che ha evitato al paese gli effetti catastrofici visti più a ovest. L’opinione pubblica ha apprezzato le scelte del PiS in questo senso e la popolarità di Duda ne ha certamente beneficiato. Il presidente si è dichiarato più volte contrario alla privatizzazione del sistema sanitario, questione tornata di estrema attualità con la necessità di una gestione pubblica dell’emergenza pandemica.

Davanti a Duda c’è ora la sfida economica. Il paese ha visto in questi anni dati molto positivi da questo punto di vista: il terzo tasso di disoccupazione più basso dell’UE e una costante crescita percentuale del PIL. La Polonia è anche il paese che ha beneficiato della maggior quantità di fondi europei negli ultimi cinque anni. La pandemia potrebbe però cambiare tutto e le prime previsioni sui numeri dei mesi a venire sembrano porre un pericoloso allarme, imponendo questioni economiche e sociali che il governo e il rieletto presidente dovranno affrontare da subito.


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