Le note che potrebbero accompagnare un saluto a Ennio Morricone sono solo quelle del tema di Jill di C’era una volta il West, quella melodia introdotta da un lentissimo pizzicato metallico e dal canto della solista (Edda Dell’Orso), una melodia infinita che faceva da preludio alla sinfonia d’archi. Lo struggimento di una colonna sonora triste, lenta, morbida, affiora ai nostri ricordi al pensiero che se ne sia andato, all’alba del 6 luglio, il Maestro del cinema italiano, colui che ha saputo coniugare una combinazione perfetta di musica e immagine per tutta la storia del cinema, non solo italiano.
Maestro perché Ennio Morricone è stato prima di tutto un grande compositore di musica contemporanea, diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia (di cui era diventato Accademico Effettivo), in tromba (lo strumento che torna tante volte nelle sue colonne sonore), cultore della musica assoluta, quella senza distinzioni e classificazioni; la musica che amava più di ogni cosa, che non si piegava ad esigenze di altro genere, non rispondeva alle richieste dei registi. Lui era prima di tutto autore creativo e la sua idea musicale nasceva prima del film, lo aveva raccontato tante volte poi i registi ascoltavano le sue proposte e si stupivano di come li avesse compresi ancor prima del confronto, di come fosse la musica a plasmare la forma cinematografica, di come sapesse raccontare con le note quello che la sceneggiatura e le immagini concretizzavano sul grande schermo.
Per questo i più grandi registi del cinema mondiale hanno voluto la sua collaborazione e i loro capolavori non avrebbero avuto lo stesso impatto emotivo e non sarebbero rimasti come stelle fisse del nostro immaginario senza le note di Ennio Morricone. E’ senz’altro riduttivo parlare di colonne sonore quando pensiamo per esempio a Mission, a Giù la testa, a C’era una volta in America…. Potremmo citarli tutti ma non possiamo.
Ha scritto le musiche per più di 500 film e serie TV, più di 60 film vincitori di premi. Nel 2007 ha ricevuto il Premio Oscar alla carriera, dopo 5 nomination.
Ha dato anche il suo contributo alla musica leggera italiana lavorando agli arrangiamenti di canzoni come Sapore di sale, Se telefonando, Il mondo….
L’epopea Western di Sergio Leone è diventata mito grazie alla perfetta sinergia col Maestro Morricone; grazie a lui la violenza e la brutalità di un mondo rude, di uomini duri, di conflitti e coraggio, di sfide e sconfitte, di sangue e polvere, è diventato sogno. Grazie all’armonica che evoca l’attesa e la paura, lo sguardo del pistolero, la pistola che deve scorrere fra le dita più veloce del vento, l’ineluttabilità dell’esistenza arriva allo spettatore ancor prima che la vicenda si compia.
Il capolavoro assoluto di questa sinergia arrivò nel 1984 con C’era una volta in America; nel tema portante, il flauto di pan suonato da Gheorghe Zamfir crea una lunghissima attesa, che fa rivivere la criminalità delle strade di New York negli anni Trenta. Poi, però, la musica si spalanca ariosa sugli scherzi, la semplicità e la malinconica dolcezza del ricordo di una gioventù, di una amicizia, di un mondo persi per sempre. Quel film non sarebbe stato quello che è, con la sua magnificenza, senza l’interpretazione musicale struggente di Morricone.
Ma dove il genio si è totalmente espresso nella maniera più sorprendente, dando prova di saper comprendere il messaggio del regista, entrare nella profondità del soggetto scelto e rappresentarlo con il linguaggio della musica, – che quasi sembra possedere qualità psicagogiche – forse, è stato in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri, col quale il Maestro collaborerà a lungo.
La colonna sonora di questo film alienante e grottesca come la vicenda e come il protagonista (un grandioso Gian Maria Volontè), rispecchia perfettamente le contorsioni mentali e la sottile depravazione del cittadino insospettabile. Al pizzicato degli archi risponde la tromba come in un’eco, il tema si ripete e si amplia in un percorso chiuso, a spirale, fobico come la mente del commissario omicida e perverso. L’epopea grandiosa dall’ampio respiro storico Monricone la costruisce con Novecento, senza dubbio il più bello dei film di Bernardo Bertolucci – nonché uno dei 100 film italiani da salvare – nel
1976. Per questo film il Maestro compone una sinfonia dal titolo Romanzo, perché questo è: un immenso racconto, una marcia di un popolo in cammino, un affresco antropologico austero e fondativo di una società e di un epoca a cui Bertolucci affiancò le immagini, la fotografia di Vittorio Storaro e i volti, uno su tutti Robert De Niro.
E poi ancora, se si parla di azioni che vengono commentate, non accompagnate, ma anticipate e sottolineante dalla colonna sonora, si deve pensare, si pensa subito a Mission, il film di Roland Joffè, del 1986, Palma d’oro a Cannes. In questo caso possiamo godere di una solenne, infinta sinfonia che ha un piccolo preludio introdotto dal suono sottile dell’oboe, che ci mette in cammino su un sentiero di luce, ci prende per mano ampliando la melodia che poi esplode in un concertato di immagini e di archi potentissimo come la potenza della cascata gigantesca di Iguazu che sovrasta il campo delle missioni gesuite.
Morricone firma anche le colonne sonore di alcuni film di Dario Argento, L’Uccello dalle piume di Cristallo, Il Gatto a nove code, 4 Mosche di velluto di grigio, e anche qui, la dimensione della paura arriva prima della vicenda rappresentata, suggerita, evocata da una combinazione di suoni e arrangiamenti inquietanti e tenebrosi. E ancora i suoni si mescolano nella memoria, e melodie si intrecciano e ci fanno ricordare un’altra formidabile creazione musicale per il film di Breck Eisner Sahara. L’ampiezza dei suoni, l’immensità dell’armonia degli strumenti evoca gli sterminati silenzi del deserto, i colori accecanti si fanno suoni assordanti, il mistero di un luogo magico fluttua nei fiati e nelle voci liriche. Non si finirebbe mai…
Ma, certamente, nei nostri cuori, in tutti noi è indelebile il ricordo dell’emozione fortissima, delle lacrime inevitabili, del sorriso dolcissimo, che ci lega a un film italiano, premio Oscar, del 1988 che è davvero fra le cose più belle della storia del cinema: Nuovo cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore. Philippe Noiret in bicicletta col bambino in canna, il cinematografo del paese, le mani di Alfredo che avvolgono la pellicola nel proiettore, gli occhi di Leo Gullotta, la madre che aspetta il ritorno del figlio ormai grande, ormai regista, ormai lontano, tutto quello che Tornatore ha ricordato e raccontato per noi, ha avuto il detonatore magico della colonna sonora di Ennio Morricone. La “scena dei baci tagliati”, che conclude il film, arrivando al culmine di un climax crescente di emozioni, è di una bellezza ineffabile.
E infatti, forse, abbiamo parlato troppo. Sarebbe meglio tacere di fronte a questa grandezza, sarebbe meglio ascoltare soltanto.
Ascoltare il regalo immenso che ci ha fatto un vero artista, libero, e abbandonarsi alla contemplazione di una sinestesia musicale.