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Per favore non chiamiamolo Smart Working

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Più che una definizione da vocabolario serve,  in questo caso a nostro avviso,  comprendere quanto sia complesso questo termine e quanto stratificato sia l’atto che sta alla base della realizzazione pratica della funzione operativa che sostiene il “lavorare agilmente”. Non è successo –  ed è importante sottolinearlo –  che a causa della reclusione forzata in casa cui siamo stati tutti costretti dalla quarantena a causa dell’epidemia, ci siamo trasformati in “lavoratori agili”. E’ accaduto che non potendo andare al lavoro, siamo stati costretti ad utilizzare i nostri “portentosi” device tecnologici digitali, per provare a non smettere di lavorare, studiare, divertirci, comunicare, in una parola: vivere. Tornando allo smart working –  quello vero –  proviamo ad aggiungere notizie certe, estraendo informazioni, dalla definizione enciclopedica del termine o meglio della prassi in cui ci siamo forzatamente ritrovati:

Smart working (lavoro ‘agile’): la possibilità di rompere grazie alla tecnologia e a una nuova mentalità l’unità di spazio e di tempo nel processo lavorativo. Orari flessibili e possibilità di lavorare in luoghi diversi sono esigenze che trovano attenzione non disinteressata delle aziende ma anche nella politica, posta di fronte al compito di dotare l’innovatività delle forme produttive di norme e di tutele.

Nel disegno di legge che dovrebbe riorganizzare il mondo del lavoro soprattutto autonomo sono previste specifiche misure normative relative al lavoro agile definito una «modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato allo scopo di incrementare la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro».

Nel 2015 il 17% delle grandi imprese italiane ha già avviato dei progetti organici di Smart working, introducendo stabilmente nuovi strumenti digitali, una nuova e più flessibile organizzazione dell’orario, una modifica degli spazi; e si prevede che in un tempo relativamente breve il lavoro agile raggiungerà circa il 50% delle grandi aziende.

Naturalmente è difficile che questo passaggio a cui in qualche modo concorrono con i loro interessi e le loro aspirazioni lavoratori, imprese e istituzioni si sviluppi senza contraddizioni e senza conflitti anche aspri. Rimane però un nodo ineludibile per tutta la società.

Si tratta dunque di una risorsa e non di un limite. Un modo intelligente  – “agile” appunto – e anche evoluto,  di svolgere la propria attività. E allora come mai, adesso che abbiamo provato, nostro malgrado, in modo forzato ma anche con sicuro profitto, a lavorare da casa –  non per davvero in smart working,  certo – ma da remoto, usando i nostri ausili digitali,   come mai non ci stiamo davvero evolvendo? Perchè molte voci, alcune anche autorevoli, si sono levate dissonanti e discordanti, chiedendo un ritorno –  un ritorno? – al lavoro “vero”. Non fa strano anche a Voi, sentire qualcuno, parlare di questa modalità – utile e moderna –  di intendere il lavoro, come se fosse un ripiego. Qualcosa di simile ad una toppa momentanea. Una specie di capitolo buio da associare – sbagliando – al momento davvero oscuro e difficile che abbiamo vissuto e stiamo ancora in parte vivendo, noi tutti, l’epoca della pandemia?  Come sempre accade, non saremo noi a fornirVi le risposte –  non ne siamo all’altezza – proveremo invece a chiamare in causa alcune voci, estraendo alcuni contributi da una sorta di “rassegna stampa” sul dibattito,  che abbiamo provato a comporre in questi giorni. Intanto ci piace molto una definizione sul tema che ha dato uno dei nostri “collaboratori” più solerti, che oltre ad essere uno studioso di politica ed economia,  è anche un imprenditore di successo:

Isolaworking suonerebbe più realistica come definizione. Cosa ci sia di smart – e dunque di positivo per definizione – è facile da vedere. Quali conseguenze concrete e reali avrà sulla nostra vita,  è molto più difficile da prevedere,  soprattutto sul medio-lungo periodo. Ad esempio sul processo formativo continuo che avviene nei team di lavoro “in presenza” e che – al momento –  rimane l’unica strada attuale di crescita professionale, nonchè di accumulo di conoscenze aziendali… Continua su lsdi

 

 


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