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Mario Amato, il giudice lasciato solo

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Aveva quarantcinque anni il giudice Amato quando cadde sotto i colpi del piombo nero. A ucciderlo fu Gilberto Cavallini, a guidare la moto l’allora diciassettenne Luigi Ciavardini. La sua colpa era quella di stare indagando su quel vasto mondo di mezzo che caratterizza da da sempre il nostro Paese, seguendo l’esempio di Vittorio Occorsio, il suo predecessore ucciso, a sua volta, dal terrorismo nero la mattina del 10 luglio 1976, per l’esattezza per mano di Pierluigi Concutelli.
Dieci giorni prima di essere assassinato dai NAR aveva dichiarato davanti al CSM: “Ritengo di dover tutelare non solo la mia dignità, ma anche quella della funzione che esercito”.
Fu tradito, isolato, ostacolato in tutti i modi possibili e immaginabili, minacciato e persino insultato da un collega, ad esempio quando indagò sul figlio del giudice Alibrandi, ben comprendendo, perché era tutt’altro che un ingenuo, quanto fosse potente e vendicativa la piovra che condizionava il potere nella Capitale e nel Paese.
In quegli anni di terrorismo rosso e nero, di manovre occulte, di servizi segreti collusi e di di manovalanza criminale al servizio di menti raffinatissime ed eversive, Amato pagò il fatto di aver intuito troppo, di aver compreso prima e meglio degli altri quanto fossero correlati i vari “misteri” d’Italia, di aver proposto di incrociare i dati relativi al rapporto fra terrorismo nero e P2 e di essere giunto alla conclusione che nulla avvenisse per caso. Aveva compreso, in poche parole, la regia occulta dietro una serie di delitti che non potevano essere unicamente opera di qualche mente deviata o di qualche criminale di piccola o media taglia: doveva esserci per forza un disegno più grande, come è emerso di recente e come già la commissione d’inchiesta sulla P2 guidata da Tina Anselmi aveva rivelato o comunque lasciato intendere.
Mario Amato cadde dopo Girolamo Minervini, capo dell’amministrazione penitenziaria di Roma, e il giudice Guido Galli, assassinato da Prima Linea all’università di Milano. Cadde circa un mese dopo Walter Tobagi, pochi giorni prima del massacro di Ustica e un mese prima della strage di Bologna, nell’estate peggiore della storia repubblicana, due mesi che minarono definitivamente la Prima Repubblica e precedettero di poco la scoperta degli elenchi del “Venerabile” Gelli a Castiglion Fibocchi.
Amato è una delle tante vittime dell’intreccio perverso fra potere e malaffare, logge massoniche ed eversione, nel tentativo, in parte riuscito, di sovvertire la democrazia, calpestare la Costituzione e infine modificarla e sfregiarla per privarla della sua componente essenziale: l’anti-fascismo.
Ha pagato con la vita il prezzo del suo coraggio, delle sue intuizioni, delle sue denunce e, come diceva lui, della sua dignità.
Quarant’anni fa: quando il baratro ci si palesò davanti e capimmo che ormai quasi tutto era perduto.

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