Poteva partire decisamente meglio la riforma delle norme punitive della diffamazione a mezzo stampa. La tanto attesa discussione in Commissione Giustizia è, invece, partita col piede sbagliato poiché ha sì eliminato il carcere per i giornalisti ma ha aumentato a dismisura le pene pecuniarie, finendo per svilire la pur necessaria modifica di una legge da regime qual è quella tuttora vigente. E che va senz’altro rivista entro un anno, in quanto è ciò che chiede la decisione recentissima della Corte Costituzionale, la quale il 9 giugno scorso aveva, appunto, rinviato al 2021 la sentenza su un caso specifico proprio per consentire al legislatore di intervenire sull’abrogazione del carcere.
In pratica in Commissione Giustizia nell’esame del disegno di legge in materia di diffamazione a mezzo stampa, testo che ha come primo firmatario Giacomo Caliendo, sono state approvate norme che prevedono la pena della multa da 5000 a 10mila euro per il reato di diffamazione commesso con il mezzo della stampa, di testate giornalistiche online registrate o della radiotelevisione; multa che sale fino a 50mila euro, da un minimo di 10mila, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità; si prevede altresì che l’autore dell’articolo e il direttore non siano punibili se prima dell’esercizio dell’azione penale pubblichino proprie smentite o rettifiche idonee a riparare l’offesa; sono inoltre stabilite pene “accessorie” come la sospensione dall’esercizio della professione.
Il timore che l’eliminazione del carcere per i giornalisti potesse essere accompagnato da pesanti pene pecuniarie era nell’aria e anche la Federazione Nazionale della Stampa aveva messo in guardia circa un’involuzione. Ciò che il mondo dei giornalisti italiani aveva chiesto era l’eliminazione di una pena che rende l’Italia un Paese paragonabile a regimi tipo la Turchia e l’Egitto, dove i giornalisti vengono incarcerati praticamente ogni giorno. Nessuno aveva chiesto (era sembrato) multe così elevate, in grado di annientare la libertà di stampa e probabilmente la stessa agibilità dell’informazione in contesti piccoli e difficili di cui è piena l’Italia. Sanzioni pecuniarie che praticamente quasi nessuna testata giornalistica potrebbe permettersi. Tutto questo appare un accanimento nei confronti dei giornalisti poiché per altri reati, anche più gravi, non sono previste simili “punizioni”.
L’aspetto ancor più grave resta un altro e cioè l’assenza di una discussione approfondita che porti a modifiche sulle querele temerarie. Per quanto questa specifica riforma faccia parte di un’altra proposta non la si può del tutto scindere dalla discussione sulle pene per il reato di diffamazione a mezzo stampa e quindi da un cambio complessivo di rotta in materia di informazione e circa il ruolo della stampa. I giornalisti e, va detto, anche gli editori italiani chiedono un deterrente contro le azioni legali infondate, oggi in percentuale molto elevata sul totale. E una modifica di questo tipo non può non far parte della riforma generale che afferisce la diffamazione a mezzo stampa. Riforma attesa da venti anni e sempre rinviata. Adesso che, finalmente, si arriva a discuterne seriamente, viene fuori il vero volto della politica e il rapporto che essa vuole tenere nei confronti dei giornalisti.
«Vi è il rischio reale che il Parlamento approvi una riforma in grado di fare danni ben maggiori della normativa vigente – osserva l’avvocato Giulio Vasaturo, esperto in diritto penale dell’informazione – Si intravede una paradossale convergenza fra le varie forze politiche per imbavagliare la stampa. Il disegno di legge disattende il monito della Consulta e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo»
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