Di Beppe Pisa
L’Aula del Senato ha approvato l’ennesima fiducia chiesta dal governo sul decreto legge sulle consultazioni elettorali del 2020 con 145 sì e 2 no. Le opposizioni hanno deciso di non partecipare al voto. In serata l’errata corrige. Il voto sulla fiducia al Senato è nullo: mancava il numero legale. Tutto da rifare. L’Aula è già convocata per domani mattina alle 9,30. Nell’ultimo giorno utile prima della decadenza del decreto Elezioni per mancata conversione in legge, il voto sulla fiducia posta dal governo deve essere ripetuto. E se tutto non dovesse filare liscio, il decreto che fissa l’election day a settembre, accorpando elezioni comunali, regionali e suppletive al referendum sul taglio degli eletti, diventerebbe carta straccia. Al termine di una giornata convulsa, con il governo che al Senato si salva per soli due voti, arriva come un fulmine a ciel sereno la notizia che il numero legale nel voto di fiducia non c’era e, quindi, il voto non è valido. Gia’ subito dopo l’esito della votazione le opposizioni, che non hanno partecipato alla fiducia, disertando l’Aula, hanno sollevato dubbi sulla validità del voto stesso. Poi, in serata, dopo una accurata verifica, la notizia diventa ufficiale: il numero legale non era a 149, come erroneamente valutato, ma 150. L’errore sarebbe dovuto, spiegano fonti di palazzo Madama, a un errato calcolo dei senatori in congedo. Un incidente che, viene spiegato, non si verificava “da una trentina d’anni”, sembra che l’ultimo precedente risalga a “una seduta dell’Aula di palazzo Madama del 1989”.
In precedenza, incidente sfiorato, con la maggioranza che si salva per due voti prima che intervenga il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà a blindare il testo ponendo la questione di fiducia. I fatti. A tentare lo sgambetto è Roberto Calderoli, esperto conoscitore dei regolamenti parlamentari e dei tiri mancini che le maglie normative consentono. Il leghista, data un’occhiata ai colleghi presenti in Aula (circa 200 su 315) fa mettere ai voti la richiesta di non procedere all’esame degli articoli del decreto, mossa che impedirebbe al governo di mettere la fiducia facendo di fatto decadere il testo, in scadenza domani. Si vota per alzata di mano e la presidente Elisabetta Casellati giudica in un primo momento approvata la proposta. La maggioranza protesta e chiede la controprova con voto elettronico. Sul tabellone sono 102 i favorevoli e 105 i contrari. A questo punto sono le opposizioni a manifestare in modo acceso il proprio dissenso, lamentando l’ingresso in Aula per il voto elettronico di altri senatori, assenti – a loro dire – al momento delle votazioni per alzata di mano. La presidente Casellati sospende la seduta per effettuare una verifica dei numeri e delle presenze attraverso l’esame delle registrazioni delle telecamere a circuito chiuso. Alla fine, tolto un voto contrario della senatrice Drago che ammette di aver votato per errore con il tablet, pur essendo rimasta fuori dalla porta della tribuna, il voto viene giudicato regolare: “Gli assistenti parlamentari hanno proceduto immediatamente alla chiusura delle porte, non solo dell’Emiciclo, ma anche di tutte le tribune”, assicura Casellati. Finisce 104 a 102, quindi. Ma le polemiche non si placano. Il governo, al termine di un dibattito decisamente indecente data la posta in gioco, incassa la 27esima fiducia posta al Senato. Sarà election day, quindi, per amministrative e referendum. Il weekend a cui guarda il governo è quello del 20/21 settembre, la decisione ufficiale, viene assicurato, arriverà “a brevissimo”.
Un’unica tornata elettorale che raggruppa le elezioni suppletive per Camera e Senato, Regionali, comunali e referendum costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari
Le urne saranno aperte anche il lunedì, fino alle 15. L’election day (suppletive, comunali e referendum) potrà svolgersi in una finestra elettorale che va dal 15 settembre al 15 dicembre, ma durante l’esame in Aula della Camera è stato approvato (con l’astensione della Lega e il solo voto contrario di FdI) un emendamento di Forza Italia che fissa, per le elezioni Regionali, il 20 settembre come prima domenica utile per il voto. Dunque, viene al momento confermata l’intenzione, espressa dal governo e dalla maggioranza, di svolgere tutte le elezioni – comunali, Regionali e referendum – il 20 e 21 settembre, con ballottaggi il 4 ottobre. Il provvedimento si limita a indicare una finestra temporale. Tuttavia, durante l’esame in commissione alla Camera, è emerso appunto l’orientamento del governo – per ora confermato – di far svolgere l’election day il 20 e 21 settembre. Quanto alle elezioni Regionali, spettando alle stesse Regioni la competenza di stabilire la data del voto, dal governo è arrivato l’invito a convergere sulla data del 20 settembre.
Durante l’esame in commissione alla Camera è stata inserita una norma che applica il principio di concentrazione delle scadenze elettorali che ricadono nello stesso anno, l’election day, anche al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. In questo modo si svolgeranno in un’unica tornata elettorale le Elezioni suppletive di Camera e Senato, le Elezioni comunali e il referendum confermativo. Si introduce una deroga alla legge per consentire che i seggi restino aperti non solo nella giornata di domenica ma anche il lunedì fino alle 15, così da evitare picchi di affluenza in presenza ancora del rischio coronavirus. Dunque, si potrà votare dalle 7 e fino alle 23 della domenica e dalle 7 fino alle 15 del lunedì. Le prime schede che saranno scrutinate sono quelle delle Elezioni suppletive di Camera e Senato, il cui spoglio inizierà il lunedì subito dopo la chiusura dei seggi. Si prosegue con lo scrutinio del referendum costituzionale e successivamente, senza interruzione, si terrà lo scrutinio delle Regionali (qualora si tengano negli stessi giorni dell’election day). Lo scrutinio delle comunali, invece, viene rinviato alle ore 9 del giorno successivo, ovvero il martedì.
Durante l’esame in Aula alla Camera è stata raggiunta una mediazione – che ha messo fine all’ostruzionismo di FdI – tra maggioranza e opposizione sulla par condicio, in modo da garantire che non vi sia una sovraesposizione mediatica, in particolare a vantaggio dei presidenti di regione uscenti. Recita la norma: “Per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2020, le disposizioni” della legge sulla par condicio “si applicano in modo tale da evitare posizioni di svantaggio rispetto all’accesso ai mezzi di informazione e per la comunicazione politica durante le campagne elettorali e referendaria, in relazione alla situazione epidemiologica derivante dalla diffusione del Covid-19”. Viene ridotto a un terzo, e solo per le elezioni del 2020, il numero di firme necessario per la presentazione delle liste comunali. Viene inoltre stabilita la riduzione a un terzo anche delle firme necessarie per la presentazione delle liste alle Regioni, fatta salva la possibilità per le Regioni di decidere diversamente.