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Proposta di legge Zan-Scalfarotto sull’omotransfobia. Lettera alla alla Cei.

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di Dea Santonico e Stefano Toppi

«Rischierebbe di aprire a derive liberticide»: così la Conferenza episcopale italiana stronca la proposta di legge Zan-Scalfarotto sull’omotransfobia, ora sotto esame in una Commissione della Camera. Essa vuole estendere i reati d’odio (istigazione a delinquere e o atti di violenza già puniti dal codice penale con gli articoli 604-bis e 604-ter) anche all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Sul tema, due genitori – che fanno parte della Comunità cristiana di base di san Paolo in Roma – hanno scritto alla Presidenza della Cei, guidata dal card. Bassetti.

Distinta Presidenza della Cei, vi inviamo questa lettera, pregandovi di farla conoscere a ciascuno dei vescovi italiani.

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Cari Vescovi, siamo genitori di due ragazzi, Marco ed Emanuele, il primo eterosessuale, il secondo gay. Stiamo seguendo con interesse e coinvolgimento i disegni di legge attualmente in discussione alla Commissione Giustizia della Camera, nella speranza che una legge che contrasti i crimini d’odio contro le persone Lgbt sia presto approvata dal nostro parlamento. Il comunicato della Cei del 10 giugno 2020 ci ha indignati come cittadini, che vedono ancora una volta un’ingerenza dei vertici della Chiesa cattolica italiana nell’approvazione di leggi di uno Stato laico, e ancor più ci ha indignati come credenti.

Leggiamo nel comunicato che la legge oltre che inutile, in quanto «non si riscontra alcun vuoto normativo, e nemmeno lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni», sarebbe pericolosa perché «rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione».

Sul primo punto, l’inutilità della legge, va detto che la legge attualmente in discussione estenderebbe a orientamento sessuale e identità di genere le pene già previste dall’attuale legge Reale-Mancino per chi «istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi» o «istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza» per gli stessi motivi. La legge Reale-Mancino prevede quindi misure di pena aggiuntive se la violenza, già punita da altre norme in vigore, viene commessa per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Senza un’estensione di tale legge ai crimini d’odio contro le persone Lgbt, nessuna pena aggiuntiva sarebbe prevista per tali casi.  Ci sembra quindi tutt’altro che inutile la legge in discussione alla Camera e ci chiediamo perché una legge utile per proteggere le vittime di razzismo diventi inutile, anzi pericolosa, se protegge vittime di violenza omotransfobica.

A garantire poi la libertà di manifestare il proprio pensiero –  preoccupazione espressa nel comunicato della Cei – ci pensa per fortuna la nostra Costituzione. Va aggiunto inoltre che non verrà estesa alla legge contro la violenza omotransfobica la pena per chi propaganda idee fondate sull’odio razziale o etnico, prevista dalla legge Reale-Mancino per la propaganda razziale. Nessun problema quindi rispetto alla libertà di espressione, vescovi e sacerdoti potranno seguitare ad insegnare a bambini e adulti che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati», come recita il catechismo cattolico. Nessuna legge ve lo impedirà. Siamo noi invece a chiedervi, e lo facciamo come credenti, di non farlo e di ripensare radicalmente ciò che la Chiesa ha detto e fatto finora su questo tema. Di ripensarlo alla luce delle nuove conoscenze di cui oggi disponiamo ed ancor più alla luce del messaggio evangelico. Per la sofferenza che come Chiesa abbiamo provocato, per i pesi insostenibili che abbiamo posto sulle spalle dei fratelli e delle sorelle omosessuali e transessuali, non ci sono altre parole da spendere se non quelle per chiedere perdono, a loro e a Dio per aver provocato tanto dolore nel suo nome.

A Galileo Galilei abbiamo chiesto perdono. Più di tre secoli dopo. A questi nostri fratelli e sorelle dobbiamo chiedere perdono ora, guardandoli negli occhi e cercando, se ci riusciamo, di sostenere il loro sguardo. Quel dolore lo conosciamo bene, noi come i tanti altri genitori di ragazzi e ragazze Lgbt con cui condividiamo il cammino: lo abbiamo letto sui volti dei nostri figli, ci è entrato dentro e ha cambiato le nostre vite. Il nostro è un cammino che si apre camminando, dove gioia, sofferenza e fatica si intrecciano indissolubilmente.

Abbiamo visto crollare le certezze di prima, sperimentato battute di arresto. Il nostro viaggio non è quello di Ulisse, che tornava a casa, verso una meta sicura; somiglia di più al viaggio di Abramo, che lascia una vita agiata e parte verso una meta che non conosce (solo più tardi il Signore gliela indicherà), senza sapere che ci sarà una ricompensa e senza una mappa per il viaggio. Un cammino scomodo il nostro. D’altra parte, il cammino che ci indica Gesù non si fa viaggiando in prima classe.  Abbiamo capito che la fede non è una polizza di assicurazione per il futuro, che ci permette di stare tranquilli, con tutte le risposta in tasca. La fede è un rischio, lo stesso che ha accettato di correre Abramo, lasciando, sulla parola del Signore, il certo per l’ignoto.

È questa la fede che ora sentiamo più nostra; quella di prima, fatta di certezze, non parla più ai nostri cuori.  È su quel cammino che vi aspettiamo. Per percorrerlo c’è bisogno di alleggerirci lo zaino dalla zavorra delle tante certezze; se non ce ne liberiamo, possiamo solo accomodarci in prima classe, ma allora è tutt’altro viaggio, o forse un viaggio finto per rimanere dove si è.

Il Vangelo di Gesù sarà la nostra bussola. E annunceremo la buona novella agli emarginati e alle emarginate, perché è la buona novella, non la sofferenza, che Gesù ci ha chiesto di portare. E allora non rimane che augurarci buon cammino!

Da confronti


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