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L’appello dei pediatri per la riapertura delle scuole

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Prima l’aperitivo, poi le Messe, quindi le spiagge e i tatuaggi, alla fine le scuole. Forse. Chi sa. Speriamo. Vedremo. Faremo il possibile.

Le scuole sono state le prime a chiudere e saranno probabilmente le ultime a riaprire. A dimostrazione di quanto conta l’istruzione nel nostro Paese.

Certo, all’inizio la cautela era d’obbligo e la precauzione adottata doverosa, per prevenire potenziali focolai ma anche per proteggere i più piccoli, ma ora? Ora che sono passati tre mesi, ora che abbiamo evidenze scientifiche che i bambini non sono pericolosi, ora che tutto si sta rimettendo in moto, le scuole restano chiuse: non solo non siamo stati capaci di garantire l’ultimo giorno di scuola neanche a chi concludeva un ciclo di studi, ma su settembre e l’inizio del prossimo anno scolastico c’è nebbia fitta e l’unica fantasia che abbiamo visto all’opera ha partorito ipotesi discutibili come il plexiglass, mentre la task force di esperti che dovevano elaborare strategie per la ripartenza pare non stia avendo molto ascolto presso chi deve prendere le decisioni. E invece qui serviva proprio uno sforzo di creatività, un supplemento di pensiero sostenuti da una solida consapevolezza: riaprire le scuole è importante, anzi è fondamentale.

Non solo perché i genitori devono tornare al lavoro e non sanno a chi lasciare i figli, ma in primo luogo per i bambini e i ragazzi, perché è un’esperienza costitutiva della loro crescita, perché l’educazione è un loro diritto e non esiste trasmissione del sapere al di fuori di una relazione. Anche se non votano, non protestano, non contano. Anche se sono pochi, anzi sempre di meno, sempre più dei tatuatori però. Anche se apparentemente non producono, non emettono scontrini. Ma non dimentichiamoci che non c’è economia senza conoscenza e la scuola non è altro rispetto allo sviluppo, è invece un fattore decisivo di crescita economica. Motivo per cui, se con tutta probabilità non si faranno gli Stati Generali della Scuola come aveva chiesto qualche giorno fa Massimo Recalcati, è importante che agli Stati Generali dell’Economia in programma la prossima settimana si parli di scuola, che come ha ben ricordato Stefano Cappellini sulle pagine di Repubblica è tutto fuorché un’attività diseconomica che non produce profitti. È invece la mancanza di scuola che genera costi sociali elevatissimi, come ci dimostrano questi tre mesi di lockdown: le disuguaglianze sociali e territoriali sono aumentate, è cresciuta la povertà materiale e i bambini svantaggiati sono diventati doppiamente svantaggiati. La didattica a distanza, infatti, certamente all’inizio l’unica soluzione possibile e di sicuro non tutta da buttare, ha lasciato fuori il 30 per cento dei ragazzi (addirittura a Roma i dati della Comunità di Sant’Egidio, che ha analizzato un campione di 800 famiglie con bimbi dai 6 ai 10 anni, ci dicono che per ben il 61% degli allievi delle primarie la didattica a distanza non è mai partita), ragazzi per i quali la scuola, nonostante tutte le sue magagne, rappresenta uno spazio di apprendimento, un’opportunità di vivere relazioni sane, un pasto equilibrato, un momento di serenità in cui riconciliarsi con la propria età.

E questo dovrebbe essere la scuola per tutte e tutti, indipendentemente dalla famiglia e dal Paese di provenienza, dalle dotazioni tecnologiche, dalla connessione Internet, dal conto in banca dei propri genitori, dal numero di fratelli o sorelle. Don Milani, che a Barbiana faceva scuola dalle 8 di mattina alle 8 di sera e aveva abolito la ricreazione, era solito ripetere che «una parola non imparata oggi è un calcio nel culo domani»: ecco perché è urgente riaprire le scuole e aumentare il tempo scuola, non diminuirlo. Perché — ammoniscono una trentina di autorevolissimi pediatri in un appello diffuso in questi giorni attraverso gli organi d’informazione (http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=85658) — «per tutti, tranne quei pochi che possono vantare una buona dotazione tecnologica in casa e genitori in grado di accompagnarli nelle lezioni e nei compiti, si sta accumulando un ritardo educativo, che per la maggioranza è molto rilevante, e non può essere nascosto dietro i pur doverosi sforzi di didattica a distanza. Al danno educativo si associano manifestazioni di disagio psicologico, aumentato rischio di violenza subita o assistita, riduzione di qualità degli apporti alimentari, riduzione dei supporti abilitativi e a volte strettamente medici per bambini affetti da disabilità o patologie croniche, naturalmente in stretta relazione con la qualità e offerta preesistente dei servizi, già carenti in molte parti d’Italia.»

Non c’è tempo da perdere, se n’è già perso troppo e non solo a causa del Covid: i bambini e gli adolescenti sono da sempre gli ultimi degli ultimi nell’agenda della politica e la scuola non è bistrattata da ieri. L’Italia investe assai poco sul suo futuro e anche in una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo destina alla scuola la metà di quanto stanziato per Alitalia, dimenticando che solo i bambini e i ragazzi potranno farla volare. Servono soldi sì, ma non a fondo perduto, e serve coraggio: non il coraggio di rischiare il contagio, perché come assicurano gli stessi pediatri il rischio è bassissimo (i bambini si ammalano molto poco e la capacità di trasmettere il virus è estremamente bassa), ma il coraggio di sognare il futuro e di assumersi la responsabilità di una scelta. Una scelta a servizio dell’uguaglianza e della giustizia, dalla parte di quel milione di bambini che in Italia già vivono in condizione di povertà assoluta.


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