C’è un processo per inquinamento ambientale delle falde acquifere, che corrono nel sottosuolo di un agglomerato di circa 150mila abitanti, che non riesce a partire da 15 anni, nè si può esaminare la relativa inchiesta sui metalli pesanti presenti nell’acqua, scritta ormai venticinque anni fa. Nel frattempo molti di coloro che all’inizio degli anni 90 si batterono per avere le prime analisi pubbliche sulle acque sono morti e, se mai ci sarà una sentenza, non potranno leggerla. Questo processo riguarda il disastro ecologico causato dalla discarica di Borgo Montello e dalla bonifica totale che tuttora gli enti pubblici non riescono ad imporre, pur sapendo che le falde sono compromesse probabilmente per sempre, anzi è in corso un dibattito alla fine del quale quella discarica potrebbe essere riattivata. Il procedimento a carico degli ex gestori è stato iscritto al ruolo generale della Procura di Latina nel lontano 2005 ed è stato rinviato per l’ennesima volta, l’ultima motivazione è legata all’emergenza Covid ma nelle udienze precedenti non era andata meglio, tutte affossate da eccezioni di procedura. Si torna in aula, forse, il 15 dicembre prossimo come in un brutto film di periferia, ma tanto è. Ad aspettare un minimo di giustizia ci sono parenti di persone morte di tumore e che abitavano nei pressi della discarica, altre non vengono nemmeno più in Tribunale da anni perché a loro volta malati o amareggiati dal destino di questo processo. La storia della discarica di Montello è iniziata 49 anni fa, l’undici agosto del 1971, con l’apertura di un sito che di lì in avanti avrà sempre troppi segreti e alcune verità assai ingombranti. Parte della discarica oggi è dell’Agenzia per i Beni Confiscati, affittata ad una società della galassia Cerroni che la vuole riaprire. L’altra parte, che pure si vuole riaprire, è stata ampliata su terreni venduti da referenti del clan dei casalesi che li avevano, opportunamente, acquistati poco prima dell’ampliamento medesimo. Nel 1995 arriva la prima relazione Arpa sull’inquinamento. Nel 2020, 25 anni dopo, le analisi della stessa agenzia confermano la presenza di sostanze cancerogene nonostante un’attività di messa in sicurezza portata avanti dai gestori della discarica ormai chiusa da tre anni per raggiunto livello massimo di conferimento. Nel processo sono stati ammessi quali parti civili 11 cittadini che abitano accanto alla discarica, Legambiente, Regione Lazio, Comune di Latina (l’ultimo a presentare istanza, in extremis), Associazione Acqua Pulita e un comitato civico di area Pd. La riapertura eventuale della discarica dovrà essere decisa da due dei soggetti che si ritengono danneggiati dall’esistenza della stessa, ossia Comune e Regione.