Un incidente medico. Così la polizia di Minneapolis aveva tentato di liquidare il brutale omicidio di George Floyd. Perché di questo si tratta.
Un filmato e un testimone hanno rivelato come realmente sia morto il quarantaseienne: soffocato da un agente che gli premeva a terra il collo con un ginocchio.
“Lasciatemi, non riesco a respirare” l’appello drammatico dell’uomo impresso nel video shock che mostra ancora una volta il volto violento della polizia statunitense quando c’è di mezzo un afroamericano.
Nei nove minuti del video Floyd implora più volte gli agenti, invano. Perde conoscenza. Quando arriva l’ambulanza è troppo tardi. Morirà poco dopo in ospedale.
Un eccesso di violenza intollerabile,
che riporta subito la mente alla tragica morte di Eric Garner, l’afroamericano ucciso a New York nel 2014 per la stretta al collo da parte di un agente bianco. Quello di ieri è un modus operandi che si ripete spesso quando i fermati sono esponenti di minoranze.
Questa volta teatro della tragedia è il Minnesota, chiamato anche “lo Stato della Stella polare”, per la sua posizione geografica più al nord di tutti, addossato al Canada. Una comunità tranquilla, molto più di altre, poco meno di sei milioni di abitanti.
La scena in cui si consuma la tragedia è una strada centrale, al civico 3700 di Chicago Avenue South, a pochi metri da un minimarket dove Floyd era stato segnalato dopo aver usato, secondo la ricostruzione degli inquirenti, un documento falso.
Fermato dalla polizia mentre era in macchina è stato corretto a scendere. Pur essendo disarmato il tentativo di arresto si è rivelato molto cruento.
Nel filmato, che in poche ore ha fatto il giro del mondo, si vede un poliziotto che lo immobilizza, schiacciandogli il collo sull’asfalto con il ginocchio per circa sette minuti. Sempre nelle immagini girate con uno smartphone da un passante, si sente il cittadino afroamericano gemere in modo via via più flebile e implorare più volte i poliziotti di lasciarlo andare, di non ucciderlo.
In un primo momento la polizia aveva dichiarato che si era trattato di un ‘incidente medico’ ma l’Fbi ha aperto un’indagine costringendo il capo della polizia di Minneapolis, Medaria Arradondo, a sospendere gli agenti, poi licenziati per volontà del sindaco della città, Jacob Frey, e del governatore del Minnesota, Tim Walz, che hanno immediatamente fatto le loro condoglianze alla famiglia della vittima e chiesto giustizia.
Parole molto dure sono state espresse dai leader della numerosa comunità afroamericana di Minneapolis.
Gli agenti hanno tentato di difendersi affermando che Floyd era “ubriaco”. Il portavoce della polizia ha spiegato che “una volta uscito dall’auto, avrebbe fatto resistenza” e che i poliziotti, dopo essere riusciti ad ammanettarlo, si sarebbero accorti che l’uomo stava avendo un “problema di salute” e per questo avrebbero chiamato l’ambulanza che aveva trasportato l’uomo agonizzante all’Hennepin Healthcare, dove poi era morto.
Ma il video racconta un’altra storia.
La verità.
Nelle immagini si sentono anche alcuni testimoni oculari che si rivolgono al poliziotto invitandolo a smettere di schiacciare a terra l’uomo, visto che non stava opponendo resistenza. Ms l’agente resta impassibile, mani in tasca, sguardo freddo. Non ha sollevato il ginocchio neanche quando Floyd aveva perso i sensi, ma solo all’arrivo dei paramedici.
Il caso ha provocato enormi proteste e indignazione negli Stati Uniti.
Gia da ieri pomeriggio alcuni manifestanti hanno protestato contro la brutalità della polizia fuori dal terzo distretto di Minneapolis m, dove prestavano servizio gli agenti incriminati, e altre manifestazioni sono annunciate per le prossime ore nel quartiere dove Floyd è morto. Sul luogo della sua uccisione è sorto un “memoriale” spontaneo.
Questo ennesimo crimine di uomini di legge nei confronti di un afroamericano, i più odiosi perché perpetrati proprio da chi dovrebbe garantire la sicurezza dei cittadini, ha rianimato il movimento “Black Lives Matter”, nato nel 2013 dopo l’omicidio di Martin e rimasto protagonista del dibattito politico durante la presidenza Obama, soprattutto dopo i disordini di Ferguson del 2014.
Negli ultimi anni, con l’avvento della presidenza di Donald Trump, la campagna sembrava essere stata silenziata a causa delle forti limitazioni imposte agli attivisti.
Ma il razzismo contro i neri resta una costante in molte comunità americane, dove gli abusi e gli omicidi della polizia sono ancora frequenti.
La morte di Floyd potrebbe dunque ridare vigore alla denuncia di un sistema che in un paese democratico non può essere tollerato.