“Sono stato tanto male in vista di questo 9 maggio. E’ una sensazione particolare, non saprei nemmeno definirla. Ho provato un dolore assurdo per questa distanza sociale che ci divide. Non è tanto legato al corteo fisico che non si farà quanto alla situazione sociale dell’ultimo mese e mezzo”.
Giovanni Impastato spiega così il suo 9 maggio “senza precedenti”, quello del 2020, 42 anni dopo l’assassinio del fratello Peppino, che sarà ricordato come sempre, con lo stesso trasporto e affetto ma in modo diverso, sui social e con eventi in streaming.
Cosa rende diversa la data del 9 maggio 2020, a parte le restrizioni?
“Non so, provo un dolore psicologico, lo paragonerei a quello fisico, alle emozioni terribili provate il giorno seguente l’omicidio, nel 1978, e poi l’anno seguente per la prima commemorazione. Forse è l’amarezza ad avere il sopravvento quest’anno. Credo che ancora oggi, nel 2020, dobbiamo giocare una partita difficile, una battaglia campale contro la mafia”.
In queste settimane è stato lanciato un allarme circa la possibilità che la mafia e la criminalità organizzata italiana in genere possano inserirsi nelle maglie dell’emergenza Covid e approfittarne. Lei cosa ne pensa?
“Per quel che può valere il mio appello, dico che bisogna stare attenti in quanto la mafia riesce ad infiltrarsi ovunque, tanto più nelle emergenze come queste. Lo abbiamo visto altre volte. E’ importante che ci siano azioni di denuncia, di analisi, di controllo. La mafia ha già tentato di prendere il sopravvento. E poi, mi lasci dire, ci sono dei brutti segnali, come la scarcerazione dei boss. Cosa si deve pensare davanti a situazioni di quel tipo, a scelte, decisioni così gravi? Dobbiamo davvero pensare, ancora, che la mafia è dentro i gangli dell’apparato del nostro Stato? Questa è la mia amarezza”.
La concessione dei domiciliari ad alcuni boss effettivamente ha sconcertato un’intera comunità. Comunque è in gioco anche l’accezione garantista del nostro sistema, non crede?
“Io non voglio apparire come uno che nega le garanzie processuali o i diritti civili minimi. Però, scusate, qui si sta parlando di pericolosi criminali, persone che si sono macchiate di delitti gravissimi. Le vittime di quei crimini e i loro familiari che cosa debbono pensare? Che hanno più tutele loro delle vittime. No, quello che è accaduto con le scarcerazioni non è garantismo, mi dispiace. Io credo che sia una vergogna. Il fatto che ciò sia accaduto a ridosso del 9 maggio è solo una coincidenza, però io la vivo con grande amarezza. La sento come una sconfitta”.