Ieri è stato “audito” dal senato il presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Cardani. Sta facendo il suo iter parlamentare presso la competente commissione, infatti, la cosiddetta legge di delegazione europea 2019, vale a dire il dotto minestrone che contiene numerose direttive comunitarie da recepire nell’ordinamento italiano. Pena infrazioni e relative condanne.
Sui temi della società dell’informazione sono ben quattro i testi in questione: 2018/1808/UE sui servizi media audiovisivi; 2018/1972/UE, il codice delle comunicazioni elettroniche; 2019/790/UE sul diritto d’autore nel mercato unico digitale, e 2019/789/UE che della precedente è un “di cui” riguardando i diritti connessi applicabili a talune trasmissioni on line.
E proprio la direttiva sul copyright può essere l’occasione per chiarire punti ed aspetti confusi del quadro di riferimento italiano. Facciamo un passo indietro.
L’Agcom varò il 12 dicembre del 2013 il regolamento in materia (delibera 680/13/CONS, poi parzialmente modificata dalla 490/18/CONS). Fu un dispositivo maturato dopo diversi stop and go, dovuti alle legittime polemiche di movimenti e associazioni che ne ritenevano arrischiata la vocazione alquanto repressiva. Tant’è che il consiglio dell’Autorità precedente si era fermato. Mentre l’attuale (in prorogatio da tempo) ha voluto a tutti i costi varare quell’articolato, a dispetto dei santi.
Qual era l’obiezione? Non un improvviso flirt con la pirateria, da contrastare, perché la remunerazione del lavoro intellettuale è doverosa. La contestazione era molto semplice e chiara. Quando si entra nel vivo dei diritti delle persone e si intende irrogare delle pene, non è sufficiente un regolamento di rango amministrativo, mentre è indispensabile una norma primaria. Fu risposto con una certa durezza polemica che andava bene così, al punto che sarebbero stati tenuti nei cassetti all’uopo pareri favorevoli di autorevoli giuristi. Mah.
Ricorsi al Tar, persino una sentenza della Corte costituzionale (247/2015), che – però- non espresse un giudizio di merito, ritenendo oscuro il quesito sottoposto.
Mentre il Consiglio di stato, con la recentissima sentenza 4993/2019, chiarisce che “…Varrebbe piuttosto l’intervento dell’unico potere – quello legislativo- effettivamente in grado di assestare ordinatamente la materia, equilibrando tra loro interessi di natura e calibro diversi, E, ancor meglio, l’intervento di una fonte normativa a livello eurounitario…”. E non sarà un caso se, a mo’ di ravvedimento operoso, la stessa Agcom, dopo le difficoltà intervenute nell’intervento sanzionatorio sulla piattaforma “Telegram”, ha inviato una segnalazione al governo per richiedere all’esecutivo e al parlamento di colmare la lacuna normativa. Anche perché, tra l’altro, quasi sempre i soggetti in questione hanno un carattere sovranazionale. E la triste e assurda vicenda che ha visto la chiusura d’imperio del profilo Facebook del corrispondente da Istanbul di Radio radicale Mariano Giustino ci interpella sull’urgenza di una legge specifica.
L’occasione è proprio il recepimento della direttiva europea sul diritto d’autore, occasione per superare limiti e incongruenze, nonché per stabilire con chiarezza la corrispondenza tra sede formale ed attività concreta degli Over The Top. Si deve rispondere alle leggi del luogo in cui opera la persona cui viene eventualmente fatto un rilievo. Nel recepimento, dunque, va eliminato ogni rischio di sapore censorio nei confronti della rete.
Si faccia presto, perché nell’era digitale gli anni sono secoli.