Azione contro la Fame teme, in Siria, una rapida diffusione del coronavirus, in considerazione dei trend rilevati anche nei Paesi vicini. E, per questa ragione, sta riadattando il suo intervento alla nuova sfida umanitaria.
I “numeri” della crisi
I dati, del resto, non lasciano spazio a interpretazioni: sette operatori sanitari su dieci hanno lasciato il Paese dal 2011; solo 59 su 111 ospedali continuano a operare, ma sono sprovvisti di forniture mediche sufficienti a causa delle sanzioni; meno di 500 sono, infine, le unità di terapia intensiva dotate di ventilatori all’interno dei nosocomi pubblici.
Nel Paese, inoltre, sono 11 milioni le persone che già necessitano di aiuti umanitari e 4,5 ne hanno un disperato bisogno. Sei milioni sono, infine, gli sfollati interni e i rifugiati e le restrizioni ai movimenti, promosse dal 14 marzo come misure di contenimento al Covid-19, stanno ostacolando l’attività umanitaria, da cui milioni di persone dipendono.
Tali provvedimenti rischiano, tra l’altro, di colpire duramente una popolazione allo stremo dopo nove anni di conflitto e il cui sostentamento dipende, oggi, dalla piccola impresa. Il Paese, peraltro, sta registrando un’inflazione elevata e ha subito una svalutazione del 50% nella sua valuta rispetto a un anno fa.
Un piano per far fronte alla crisi
L’accesso all’acqua potabile e ai materiali di base per l’igiene, il sostegno a sistemi sanitari e l’attenuazione dello shock economico legato alle limitazioni imposte agli spostamenti costituiscono, oggi, le priorità indicate dall’organizzazione.
“Stiamo raddoppiando gli sforzi per garantire, in tempi brevi, la fornitura di acqua pulita e l’igiene di base, due elementi che consideriamo cruciali per prevenire il contagio. Stiamo, inoltre, predisponendo ambulanze e centri sanitari per prepararci, al meglio, ai rischi connessi alla pandemia”. Ha dichiarato Simone Garroni, direttore generale di Azione contro la Fame.
L’organizzazione, presente in Siria dal 2008 e capace di garantire aiuti umanitari a oltre 300.000 persone dall’inizio dell’anno, ha già incrementato le forniture idriche ad Hassakeh e nelle zone rurali di Aleppo. E auspica, adesso, di poter fare presto lo stesso anche nelle aree recentemente liberate del distretto di Ildib. Va ricordato che, in generale, i bisogni umanitari legati all’acqua colpiscono in Siria 15,5 milioni di persone.
“La nostra preoccupazione riguarda, innanzitutto, la situazione nei campi presenti nel nord-est del paese ma anche le criticità che potrebbero caratterizzare i civili dell’area nord-ovest: qui, infatti, l’impossibilità di accedere all’acqua potabile potrebbe rendere la popolazione ancora più esposta al contagio”, ha aggiunto Chiara Saccardi, responsabile geografico di Azione contro la Fame in Medioriente.
L’accesso all’acqua potabile al centro delle attività della ONG
Le continue interruzioni all’impianto idrico di Alok, il principale fornitore di acqua per mezzo milione di persone a Hassakeh, sono solo un ulteriore esempio di come il conflitto siriano stia provando, oggi, i siriani e, in particolare, i bambini di età inferiore ai cinque anni e le persone con disabilità. In un momento, peraltro, in cui il lavaggio delle mani con sapone rappresenta la prima delle misure utili per fermare la diffusione del virus.
Per far fronte all’emergenza-acqua in Siria, grazie al lavoro svolto dalle sue tre sedi (Aleppo, Damasco e Al-Hasaka), Azione contro la Fame ha avviato 29 progetti di approvvigionamento idrico, servizi igienico-sanitari in sette province, due progetti utili per la riabilitazione e il miglioramento dei “ricoveri” e una attività di formazione nella zona rurale di Damasco.