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“Gentile Signor Nicola Mancino, a questo punto ha un solo dovere…”

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di Saverio Lodato*
Gentile Signor Nicola Mancino, mi rivolgo a Lei da privato cittadino, con la pretesa di farlo da pari a pari – da privato cittadino, cioè, a privato cittadino – pur conoscendo il suo curriculum: il curriculum di chi, indiscutibilmente, è Stato lo Stato, avendo Lei ricoperto gli incarichi di ministro degli Interni, presidente del Senato, vicepresidente del Csm. Mi lasci dire che Lei ha creato un pasticcio.

Gli italiani, popolo al quale viene chiesto di portare sulle spalle non una croce bensì più croci contemporaneamente, si lasciano dietro un’estate di polemiche e veleni su quel maledetto argomento della mafia che data, nel nostro Paese, ormai da oltre 150 anni. Sono cose che Lei sa, essendo Stato, così a lungo, lo Stato. In questo affaire, Lei sarà incastonato dagli storici come uno dei protagonisti, se non il principale. Non so se a torto o a ragione, su base di indizi o prove certe, per intima convinzione o malanimo di qualcuno, ma Lei, assieme ad altre undici persone, si ritrova imputato per la trattativa Stato-Cosa Nostra che si svolse prima, durante e dopo le stragi del 1992-1993.

Il non voler prender atto di questa condizione, il timore delle conseguenze, il suo – umanamente comprensibile – “non ci sto” , è la causa scatenante di quel grande pasticcio nel quale Lei, prima ha coinvolto Loris D’Ambrosio, consigliere del Quirinale, e poi lo stesso Capo dello Stato, nella persona di Giorgio Napolitano. Allora Lei alzò il telefono. Manifestò le sue rimostranze. Chiese aiuto. Sollecitò il Quirinale a deviare il corso naturale dell’inchiesta che La riguarda. Non sapeva di essere intercettato, ma lo era. E legittimamente, essendo oggi un privato cittadino. E proprio Lei, che è Stato lo Stato, ammetterà che il contenuto di quelle sue telefonate con il consigliere D’Ambrosio (ché di quelle fra Lei e il capo dello Stato, altri Poteri, e ben più grandi di me e di Lei, si stanno occupando a blindarne in saecula saecolorum la segretezza), è un bene che sia stato portato a conoscenza degli italiani.

Gli italiani pretendono di sapere. Cosa intendeva dire quando diceva che non voleva restare da solo con il cerino in mano, di sentirsi un uomo solo, e che quest’uomo solo va difeso, e che se quest’uomo solo non viene difeso chiamerebbe in causa altre persone? Parole stonate, dette da una persona con il suo curriculum. Avrebbe potuto dire che della trattativa non sapeva nulla; che in quell’inchiesta c’era finito per sbaglio; che non sapeva di cosa si stesse parlando. Certo. Ognuno dice quello che gli pare. Ma ciò che ha detto è l’unica cosa che non avrebbe dovuto dire. È evidente che Lei sapeva, e sa, di che si sta parlando. Si è scatenata una tempesta in un bicchier d’acqua: un complotto contro il Quirinale; vilipesi i magistrati “rei” di avere intercettato il Capo dello Stato; acceso un conflitto di attribuzione fra i poteri, sul quale la Consulta dirà la sua.

Ora lei è rientrato nell’ombra. Gentile Signor Nicola Mancino, a questo punto ha un solo dovere: collaborare con la giustizia italiana. Nel ricordo di Falcone e Borsellino, si penta. Divenga il nuovo Buscetta di mafia e politica. Faccia i nomi di quelle “altre persone” alle quali, cripticamente, alluse in quella telefonata al consigliere D’Ambrosio: i nomi di chi trattò con Cosa Nostra. Dica cosa offriva lo Stato e cosa chiedeva la mafia. E perché la trattativa si arenò. E spieghi perché, per quasi una mezza dozzina d’anni, andò di tv in tv mostrando la pagina bianca della sua agenda – al 1° luglio 1992, giorno della sua nomina a ministro degli Interni –, a riprova di non aver mai incontrato Borsellino; salvo poi ricordare, in un compiacente salotto televisivo, all’indomani della sua iscrizione nel registro degli indagati, che sì, quel giorno Borsellino Le aveva stretto la mano ma non ricorda che faccia avesse. Se i rapporti della mafia con la politica, le istituzioni, l’economia e la finanza non saranno recisi, la mafia resterà esattamente nel posto in cui si trova. Racconti tutto quello che sa. Le porteranno gratitudine gli italiani, il Capo dello Stato, la magistratura di Palermo. E si metterà in pace con la coscienza.

*Tratto da Il Fatto Quotidiano del 23 ottobre


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