Dalla precarietà, dalla discontinuità dei redditi, dall’incertezza delle prospettive discende l’indebolimento del welfare nel Paese. Un dato che ci ha fatto cogliere ancor più impreparati da questa crisi eccezionale. Domani tutto questo dovrà essere lasciato nel passato, insieme al virus. Si deve far rinascere la speranza e rimettere con decisione il lavoro al centro del dibattito generale e tra le parti sociali. L’innovazione tecnologica non dovrà più essere pretesto per cancellare occupazione, ma opportunità per lavorare meglio, meno, tutti. Ma se è chiaro su “cosa”, non è semplice, qui e ora, attivare un dibattito capillare sul “come”, sia per la situazione contingente della separazione imposta dalla “reclusione” (compensata solo in parte dalla relazione attraverso gli strumenti informatici), sia per il quadro “congiunturale”. Su quest’ultimo punto, negli anni si è teso ad accantonare la politica come atto collettivo di trasformazione (l’ideologia della fine delle ideologie), a liquidare il dibattito come perdita di tempo (la negazione delle complessità, la retorica populista e deresponsabilizzante del capo), a considerare l’esistente come unico mondo possibile, da governare con scelte tecniche, più o meno temperate nella semplice amministrazione. Le contraddizioni, invece, sono fortissime, come le disparità. E, allora, da queste si riparta per dare corpo alle premesse di democrazia del lavoro che sono la spina dorsale della Costituzione, primo riferimento della Repubblica.
Il Primo Maggio non è una ricorrenza, ma una giornata che chiama alla lotta
Dalla precarietà, dalla discontinuità dei redditi, dall’incertezza delle prospettive discende l’indebolimento del welfare nel Paese. Un dato che ci ha fatto cogliere ancor più impreparati da questa crisi eccezionale. Domani tutto questo dovrà essere lasciato nel passato, insieme al virus. Si deve far rinascere la speranza e rimettere con decisione il lavoro al centro del dibattito generale e tra le parti sociali. L’innovazione tecnologica non dovrà più essere pretesto per cancellare occupazione, ma opportunità per lavorare meglio, meno, tutti. Ma se è chiaro su “cosa”, non è semplice, qui e ora, attivare un dibattito capillare sul “come”, sia per la situazione contingente della separazione imposta dalla “reclusione” (compensata solo in parte dalla relazione attraverso gli strumenti informatici), sia per il quadro “congiunturale”. Su quest’ultimo punto, negli anni si è teso ad accantonare la politica come atto collettivo di trasformazione (l’ideologia della fine delle ideologie), a liquidare il dibattito come perdita di tempo (la negazione delle complessità, la retorica populista e deresponsabilizzante del capo), a considerare l’esistente come unico mondo possibile, da governare con scelte tecniche, più o meno temperate nella semplice amministrazione. Le contraddizioni, invece, sono fortissime, come le disparità. E, allora, da queste si riparta per dare corpo alle premesse di democrazia del lavoro che sono la spina dorsale della Costituzione, primo riferimento della Repubblica.