È un Primo Maggio in cui mancheranno le piazze. Ciò che non può mancare è però una riflessione, possibilmente collettiva, sul valore e sul significato del lavoro. Se sia ancora il valore e l’elemento fondante della Costituzione repubblicana, il principale collante di quel progetto di convivenza civile disegnato nella Carta costituzionale, o se sia diventato qualcosa di diverso. In una società in cui il peso delle diseguaglianze è sempre più preponderante e la disintermediazione rende marginali i corpi intermedi, il lavoro è sempre più una merce come tutte le altre. Come più volte denunciato da Papa Francesco, il lavoro è diventato un fattore di ricatto sociale, perdendo la sua funzione di riscatto e di collante sociale assegnatogli dalla Costituzione.
È una situazione che i giornalisti, al pari di tutti i lavoratori italiani e di molti Paesi dell’Occidente, sperimentano ogni giorno sulla propria pelle. Il lavoro è sempre più debole e precario perché deboli e precari, se non inesistenti, sono diventati i diritti e le tutele dei lavoratori e delle persone. La prevalenza del capitale ha reso il mondo del lavoro sempre più debole. Contrastare il precariato, combattere lo sfruttamento significa ridare dignità alle persone prima ancora che ai lavoratori.
Il lavoro è scomparso da qualche decennio dall’agenda politica. L’emergenza che viviamo impone di guardare al futuro, ripartendo proprio dal lavoro. Nessuno può credere che un Paese possa reggersi a lungo sui sussidi e sull’assistenzialismo di Stato. La fase post-Covid 19 dovrà rimettere al centro il lavoro con i diritti, le tutele e le garanzie ad esso connessi. È il lavoro che ha permesso all’Italia di rialzarsi dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Superata l’emergenza sanitaria, il dovere principale della politica sarà quello di rimettere il lavoro al suo posto. Che è quello assegnatogli dalla Costituzione. Perché senza lavoro non c’è progetto di società che possa durare nel tempo.
Buon Primo Maggio.