Nel mondo arabo c’è una tradizione consolidata: ogni Ramadan è caratterizzato da serie tv che vengono trasmesse soprattutto dalle televisioni di stato per accompagnare l’iftar, la rottura del digiuno, delle famiglie riunite intorno alla tavola dopo una giornata di digiuno. La prima regina di questa produzione è stata, come per la cinematografia, la televisione egiziana. Poi è arrivata la sfida siriana, che ha visto ottimi registi cimentarsi proprio su questo filone, puntando sulla novità: fare riferimento a fatti di attualità.
Ora accade che una serie tv poliziesca “Intervista al signor Adam”, abbia mostrato una scena in cui due persone osservano la fotografia di una vittima sulla cui morte i protagonisti dello sceneggiato dovrebbero indagare, immaginando un traffico di organi. La morta però è vera, è Rehab Allawi. Giovanissima, lei è nota a chiunque abbia visitato la mostra delle fotografie dello sterminio fatte uscire dalla Siria dall’agente dal nome in codice di Caesar. L’autenticità di quei corpi, quei volti, quelle torture patite nei lager siriani, è stata ormai riconosciuta da tanti, a partire da Human Rights Watch. Sulla base di questo agghiacciante database sta per arrivare negli Stati Uniti una legge, il Caesar Act, che sanziona i personaggi del regime notoriamente coinvolti nelle sevizie. Il regime di Damasco ha sempre parlato di montatura orchestrata dai soliti servizi, petromonarchi e altri. Rehab è stata torturata dagli aguzzini del regime dopo l’arresto quando aveva 25 anni. I segni sono evidenti, è stata riconosciuta in mezzo a quelle migliaia di foto da amici e parenti: secondo Human Rights Watch anni fa, davanti a domande incalzanti, il regime avrebbe informalmente ipotizzato che la morte fosse accaduta per infarto. Ma nella sua città, Dayr az Zor, tante voci hanno sostenuto da anni che i familiari per ottenerne la liberazione avrebbero pagato per ottenerne la liberazione. Ora sappiamo che pagarono 12 milioni di lire siriane, all’epoca una fortuna. E’ stato il fratello di Rehab, che oggi vive all’arresto, a confermare ufficialmente la voce. Ma quei soldi non sono valsi né ad ottenere un certificato di morte né la restituzione della salma. Ovviamente la domanda più ricorrente in Siria è: perché? Perché mostrare proprio quella fotografia in uno sceneggiato tv che entra nelle case di tanti siriani all’ora di cena, durante il Ramadan? La risposta più diffusa è molto semplice, la riferisce un accurato dispaccio dell’Ansa: per dimostrare la propria piena impunità davanti alla devastazione dei diritti umani. Ora che il regime traballerebbe, che la crisi economica è devastante e che il Covid – 19 metterebbe in pericolo la stessa tenuta dell’ordine pubblico, visto che la situazione sanitaria siriana è fuori controllo, questa scelta sarebbe stata pianificata, assunta, con un preciso intento intimidatorio. Il messaggio dunque sarebbe chiaro: “noi possiamo tutto, non dimenticatevene mai.”
L’effetto ottenuto sin qui sarebbe traumatico: i social media confermano che i siriani, soprattutto i ceti umili e piegati dalle difficoltà che li tormentano da anni, non riuscirebbero a capacitarsi che il volto di una donna reale e realmente assassinata, sia stato usato per uno sceneggiato in televisione.
Dopo il vilipendio dei vivi il regime di Assad è arrivato al vilipendio dei morti. E questo non può sorprendere. Purtroppo però fuori dalla Siria sembra non fare notizia. Difficile capire perché. La barbarie di Assad e dei suoi aguzzini è stata occultata per anni, da tanti soggetti e con i più vari mezzi di distrazione di massa. Ma questa volta che si usa un espediente così raccapricciante solo l’occultamento di uso di cadavere può funzionare. E funziona.