Il tenace e fattivo sottosegretario con delega all’editoria Andrea Martella ha riferito sul settore alla commissione cultura della Camera dei deputati.
Qualche richiesta emersa dal vasto e articolato universo ha trovato spazio nei recenti decreti “Cura Italia” e “Liquidità”. Tuttavia, la gravità della situazione determinatasi con il Covid-19 e l’andamento della crisi economica richiedono un salto di qualità. L’informazione è diventata decisiva non solo per il rispetto dei classici canoni deontologici, bensì anche per garantire la sopravvivenza cognitiva di una società ferita e limitata nelle libertà.
Insomma, l’annunciata riforma per la cosiddetta fase 5.0 intanto potrà avvenire, in quanto i protagonisti del sistema arriveranno all’appuntamento illesi e vivi. Ricordiamoci che (dati della federazione degli editori) dal 2007 al 2018 le vendite dei giornali si sono ridotte del 46,5% e la raccolta pubblicitaria del 70%. Non solo. Nello stesso periodo le testate interessate al Fondo per il pluralismo e l’innovazione sono passate da più di 250 a 107. In un settore contiguo come la radiofonia, la parabola è stata persino clamorosa: da oltre mille stazioni si è arrivati a poche centinaia, stando alle richieste di finanziamento previste dallo specifico regolamento del ministero dello Sviluppo.
Si sente l’urgenza di uno Stato innovatore capace di considerare le testate non una spesa, bensì un investimento strategico. Del resto, un recente studio del dipartimento della presidenza del consiglio mostrò che in Europa (ivi compreso il Regno unito) le risorse pubbliche sono assai rilevanti.
Sembra profilarsi nel prossimo decreto del governo uno sforzo ulteriore: dal sostegno doverose alle edicole, al credito di imposta per la pubblicità e la carta, al ritorno della pubblicazione obbligatoria degli avvisi legali. E forse altro ancora.
Ecco. E’ vero che nella scorsa legge di Bilancio fu rinviato il taglio del fondo deciso dall’esecutivo precedente, ma nell’emergenza attuale è indispensabile garantire almeno la copertura per il 2020 e recuperare i ben 43 milioni persi dalla quota percentuale prevista dal canone della Rai. Vi è, poi, il problema delle agenzie di stampa radiofoniche, che stanno in una specie di limbo.
Vi dovrebbe essere un intervento per le iniziative digitali, se si è capito bene. Ma l’era digitale, affinché non si risolva in ulteriori impoverimenti e chiusure, richiede non uno spezzatino, bensì un consistente Welfare Communication, vale a dire una politica economica aperta e illuminata: spendere oggi per evitare dolorosi crolli domani. In tal senso va la giusta proposta avanzata dalla federazione della stampa di imporre un prelievo del 5% (a favore del’editoria) sul fatturato degli Over The Top che, oltre a disporre gratuitamente dei nostri dati, fatturano cifre corrispondenti ai bilanci dei principali stati del continente. In vista della preannunciata tassa da introdurre stabilmente senza perdere altro tempo, nonché del recepimento della direttiva europea sul copyright per ciò che concerne la remunerazione della fatica intellettuale.
Ultimo e nient’affatto ultimo: il lavoro. Rispetto alle misure già prese, ancorché irte di questioni interpretative, serve davvero un altro passo. La tragedia che stiamo vivendo spesso è raccontata da ottime/i croniste/i precarie/i o co.co.co. Vogliamo mettere fine una volta per tutte a simile amarissima piaga? Vale o no il principio generale per cui chi fa lo stesso lavoro ha diritto allo stesso contratto? Che il virus, almeno, scuota le coscienze.