“Che la morte ci colga vivi!” Il grande Marcello Marchesi ci lasciò questo splendido “memento mori”, di impegnativo obiettivo. Il prolifico autore eccedette nella coerenza, perdendo la vita per un tuffo tra i flutti del mare di Sardegna, in tempesta. Certo la condizione dei vecchietti, che “vivono” nelle odierne residenze, potrebbe spingere i meno giovani a riprendere il motto di Marchesi, soprattutto viste le recenti stragi di anziani in Europa, ospiti di residenze che magari si ponevano come modello i “Campi Elisi”, ma che si sono dimostrate essere più simili a ben altri campi… Tra le prime ipotesi per l’eccesso di morti tra gli anziani, c’è quella della mancanza di “percorsi” che avrebbero potuto garantire l’isolamento dei contagiati, a volte pure introdotti, successivamente al contagio, nelle case per anziani. Si può ipotizzare una carenza progettuale notevole.
Nella progettazione architettonica funzionale si dovrebbe invece partire proprio dai “flussi” di utenza, per determinare i dimensionamenti degli ambienti, in base alle funzioni: chi va, dove e perché. Da questa semplice regola progettuale nascono spesso proprio progetti a base modulare, a volte con elementi autonomi, anche per indicare all’utenza le diverse funzioni. Nel caso delle strutture per anziani, una buona regola è proprio quella di garantire un approccio graduale, sia all’utente che al visitatore, grazie a tale criterio i “filtri” sono una soluzione a portata di mano: suddividere le strutture e le attività in base al livello di coinvolgimento dei fruitori, possibilmente autorizzati.
Ma in realtà la stragrande maggioranza delle residenza medie per anziani usa strutture non progettate per le funzioni proposte. Ciò dagli appartamenti al centro, alle villette in periferia, per giungere al Pio Albergo Trivulzio, che è una costruzione di quasi duecento anni, dall’aspetto molto gradevole, ma dalle dubbie funzioni. In questo molti edifici storici hanno lo stesso problema dei moderni e costosi progetti delle “archistar”: “Bello!… Ma funziona?”
Per la fase della vita che aspetta tutti (da cui il proverbio: “Cu campa, vecchiu si fa!”), bisogna offrire strutture e gestioni che si pongano come premessa la sacralità della vita, soprattutto nel periodo finale. Una vita che possa essere decorosamente vissuta, magari a contatto con le altre generazioni, con gestioni innovative che prevedano i “flussi” funzionali e consentano anche il “flusso” di conoscenze tra anziani e giovani. Probabilmente gli anziani che ci hanno lasciato non avevano alcun motivo per lottare contro la morte.