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“Sola con mia figlia disabile, forse contagiata”: la denuncia di una caregiver

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Per proteggere al massimo la ragazza, gravemente disabile e immunodepressa, ha rinunciato all’assistenza notturna e non esce più di casa. Aveva un’unica infermiera, che “doveva essere riservata a noi. Ma ora è in quarantena…”

ROMA – Da ieri è senza assistenza: completamente sola, a prendersi cura di sua figlia, che ha una grave disabilità e richiede cure continue, di notte come di giorno. Nessuna delle accortezze che aveva chiesto e ottenuto dalla Asl è servita a scongiurare il peggio: l’unica infermiera che fino a due giorni fa si occupava per qualche ora di sua figlia, gravemente immunodepressa e con problemi respiratori cronici, ora è in attesa di tampone. “Se risulterà positiva, dovremo fare il tampone anche a mia figlia: e se risultasse positiva, sono pronta a chiedere la sedazione profonda, perché so benissimo a cosa andrebbe incontro”.

F. chiede di rimanere anonima e di non riportare alcun informazione che possa servire a identificarla, tanto è grave quello che andrà a denunciare in tribunale, non appena sarà possibile: “La cooperativa, pur di non perdere altri soldi in questo momento, rischia di condannare a morte mia figlia e non solo, mandando i suoi infermieri – i pochi rimasti in servizio – a casa di una donna che è risulta positiva al test ed è ora sottoposta a quarantena. E fa questo, continuando ad assicurare che nessuno dei suoi assistiti sia contagiato, tranquillizzando i suoi operatori che non corrono alcun rischio. E senza peraltro fornire loro i dispositivi di protezione”.

E’ in questo contesto che si inserisce la storia di F. e di sua figlia, che vivono da soli ma fino a qualche tempo fa potevano contare su assistenza infermieristica e domiciliare, per far fronte alle numerose necessità sanitarie della ragazza. “Dall’inizio dell’emergenza, la mia assistenza si è ridotta a un quarto, visto che mia figlia è soggetto particolarmente a rischio di contagio. Per questo, in collaborazione con la Asl, ho chiesto alla cooperativa di compiere uno sforzo, per fare in modo che avessimo un’infermiera unica, che non frequentasse altre case, limitando così al massimo il rischio. Di mia iniziativa, avevo già rinunciato alle notti, gestendole da sola. E ho smesso completamente di uscire di casa, per proteggerla ulteriormente. Anche l’infermiera ha fatto lo stesso sacrificio: non usciva di casa, se non per venire qui in auto. Finché la cooperativa, che in questi giorni si ritrova con tante famiglie che rinunciano all’assistenza e tanti infermieri che smettono di lavorare, le ha imposto di accettare anche altri turni, oltre a quelli in casa nostra. E proprio durante uno di questi turni è entrata in contatto con una donna che aveva lavorato in una situazione infetta ed era in quarantena, in quella stessa casa, in attesa dell’esito del tampone. Due giorni fa, proprio mentre era qui da noi, l’infermiera ha saputo che quella donna è risultata positiva: ora è a casa anche lei, in attesa di tampone”.

F. rivolge quindi un appello: “Massima attenzione e prudenza, perché sicuramente i contagiati sono più di quelli ufficiali, dato che il tampone viene fatto solo a chi passa per l’ospedale. E questo rappresenta un pericolo enorme per chi, come mia figlia, ha una fragilità cronica”. Intanto, “noi siamo completamente soli e terrorizzati – si sfoga F. – Io sto crollando, già mi faccio carico di tutte le notti, ora anche durante il giorno non ho neanche un’ora per riposare: inizio a commettere errori con i farmaci, sono poco lucida e questo mi spaventa. E se la nostra infermiera dovesse risultare positiva… Non voglio neanche immaginare cosa accadrà. Ma se mia figlia risultasse contagiato, so con certezza che le assicurerò almeno una fine dignitosa ”. (cl)

Da redattoresociale

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