di Dario Paladini
Milano – Lo ripetono da quando è iniziata l’emergenza coronavirus: oltre alla “prima linea” degli ospedali esiste anche il fronte delle strutture e dei servizi socio sanitari: dalla case di riposo alle comunità per famiglie o persone in difficoltà, dai servizi domiciliari ai centri diurni. Migliaia di persone fragili, che hanno bisogno di aiuto e di essere protette. Così come chi ci lavora, tanto che ormai il 30% dei dipendenti delle cooperative sociali è ormai contagiato. Appelli alla Regione Lombardia, al Governo e anche ai Comuni, rimasti inascoltati. Con conseguenze pesanti. “Questa volta gli innocenti non sono bambini, ma persone anziane con disabilità. Ma muoiono lo stesso, a centinaia. Tanti a casa a loro, molti di più nelle residenze socio-sanitarie regionali -scrive in un appello denuncia il Forum del Terso settore della Lombardia insieme ad altre sigle e associazioni delle realtà non profit-. Sono le persone con disabilità e fragilità, soprattutto anziane ma non solo, a cui in queste settimane è stata negata ogni forma elementare di difesa dal Covid19 e che ora stanno pagando con la vita questa negligenza”.
“A queste persone, infatti, una volta contratta la malattia, viene negato l’accesso ai pronto soccorso e agli ospedali, lasciandole morire nei loro letti -è la denuncia pesantissima del terzo settore lombardo-. Muoiono nelle case o nei servizi residenziali, senza poter avere accesso a tutte le cure a cui vengono invece sottoposte le persone che riescono ad essere ricoverate. Viene attuato così, in modo silenzioso, quanto già previsto dalle ‘linee guida’ degli anestesisti italiani: di fronte alla carenza di posti letto in terapia intensiva viene data la precedenza alle persone giovani e senz’altre patologie rispetto a quelle anziane con patologie pregresse”.
“Le persone che li assistono, si tratti di parenti o di operatori sociosanitari, rimangono ancora sprovvisti delle mascherine e dei dispositivi di protezione necessari per evitare di contagiare e di essere contagiati. Anche nella distribuzione “pubblica” dei dispositivi di protezione individuali, infatti, sono state privilegiate, sinora, le strutture sanitarie rispetto a quelle sociosanitarie”.
“Sono persone che muoiono nel silenzio: spesso non rientrano neanche nel conteggio dei ‘decessi per Covid19’ perché a loro è stato negato anche il diritto alla diagnosi, prima ancora che al trattamento e alla cura, come già alcuni sindaci stanno denunciando. Persone che, si dice, ‘sarebbero morte lo stesso’ e che invece, lo sappiamo e lo dicono anche le statistiche, se curate in modo adeguato avrebbero potuto continuare a vivere chi per uno, chi per due, chi per dieci o vent’anni”.
“Non vi è nulla di naturale in questa scelta crudele di sacrificare le persone più fragili, illudendosi così di salvare quelle più forti. Con le loro vite stiamo sacrificando anche la nostra dignità, la dignità di ognuno di noi. Per alcuni, per molti di loro, siamo ancora in tempo a cambiare rotta. Facciamolo!”
“Forniamo subito agli enti gestori tutti i presidi di protezione, i medici, i farmaci necessari per garantire diagnosi e cure tempestive. Permettiamo alle persone con disabilità di qualunque età di poter accedere, almeno in condizioni di parità rispetto al resto della popolazione, alle terapie intensive quando utile e necessario. Non neghiamo a nessuno la speranza e la possibilità di poter guarire e vivere”.
L’appello denuncia è firmato da Forum Terzo Settore Lombardia, Ledha, Uneba Lombardia, Alleanza Cooperative Italiane-Welfare Lombardia ed è sottoscritta anche da Acli Lombardia, Aism Lombardia, Ancescao Lombardia, Anffas Lombardia, Anteas Lombardia, Arci Lombardia, Arlea, Associazione Banco Alimentare Lombardia, Auser Lombardia, Cnca Lombardia, Ceal, Federazione, Regionale Lombarda Società San Vincenzo de’ Paoli, Movimento Apostolico Ciechi Milano, Movimento Apostolico Ciechi Varese, Uildm Comitato Lombardo. (dp)