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La nostalgia anteriore di Maria Attanasio: “Lo splendore del nulla e altre storie”, da Sellerio

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Si può esseri scrittori fedeli a se stessi – scriveva il nostro Antonio Russello mezzo secolo fa – solo quando “l’ispirazione ci riporti sempre alla stessa terra, ci schiacci sempre sotto quell’urgere di terra cielo e sangue i quali come destino, vogliono essere placati come spiriti cattivi, con l’evocarli.” Già: scrivere è un consumare sangue e Maria Attanasio di questo sangue invisibile ne ha versato tanto dentro le sue pagine. Parole e sangue dunque. Un sangue tellurico il suo, fatto di tempo di quell’infinito materiale di cui parlava Michelet. Per uno scrittore – si chiede allora Attanasio nel suo “Correva l’anno 1648…” – niente altro esiste se non il tempo e la parola: un tempo attraversato soprattutto dalle presenze che la sua città, Calacte-Caltagirone, ha saputo evocare. “La vita – fa dire infatti al suo concittadino Giacomo Polizzi nel lungo racconto che apre “Lo splendore del nulla e altre storie”, appena pubblicato da Sellerio – è bella solo se raccontata.” “Dentro le parole non c’è freddo, né carestia, né paura: gli uomini possono soffrire senza dolore, mangiare senza pane, morire senza morte”.

Questo scarto tra letteratura e realtà in fondo manifesta il tema del fantasma che Maria Attanasio lascia consapevolmente aggirare tra le sue pagine: del vissuto personale e delle storie individuali che la spingono “nel cuore della storia”; meglio nei suoi sotterranei. La sua infatti è una storia di militanza nella quale è prima di ogni altra cosa il linguaggio a riscattare la marginalità delle protagoniste: la scrittrice è soprattutto i suoi personaggi. Racconta storie esemplari attraverso microstorie e scaglia frammenti di vite femminili, dopo averle decifrate, contro l’oblio. Donne che la storia ufficiale non ha mai registrato, poi condensate nell’exemplum per eccellenza: la Rosalia Montmasson de “La ragazza di Marsiglia” (Sellerio 2018): una narrazione metaforica, in cui la memoria si fa presente.

Ora, anche il questo ultimo libro (che raccoglie i racconti variamente editi tra il 1994 e il 2014), la storia è affrontata da altre angolazioni: dalla historia speculum iniquitatis a quella che restituisce il vero: “perché – ha detto Maria Attanasio – anche se la scrittura si fa arte, seppur nella finzione, diventa necessaria per ricostruire le inaccessibili crepe del vissuto e diventa così esperienza di verità e parola di libertà.” E così tra storia privata e storia collettiva vive questa sua scrittura: quella degli attori, quella europea e anche della stessa Calacte: una città dove avvampano e si consumano incendi, rivoluzione, repressioni, carestia, colera, morte. E non c’è nessuna “linea siciliana”, nessuna sicilitudine della e nella letteratura dell’Attanasio: perché se quella si muove al di fuori della storia e costeggia l’isola mitica, l’eden meraviglioso (e quindi storicamente luogo impossibile, regione di quiete e di accettazione) in questa c’è solo fortissima appartenenza alla Storia, seppure nella forma della letteratura. Non solo: le sue femminili “genti meccaniche” si connotano nella diversità dell’essere e dell’agire ma soprattutto esistono e consistono nella narrazione della sua città. Ecco: senza questa profondità reale Maria Attanasio non potrebbe raccontare le vite degli altri; non riuscirebbe ad andare incontro alla finzione letteraria, né all’utopia poetica: quelle vite ricostruendo “colmando i silenzi, dando voce all’immemorabile e al possibile di essa”. Anche la scelta del “punto di vista”, di un terzo occhio al femminile finisce per indicare – come ha scritto Christa Wolf – quel “bisogno di scrivere in modo nuovo che segue un nuovo modo di essere nel mondo”: e Maria Attanasio è scrittrice in questo senso e in questo modo.

Ma la finzione è solo strumento, “prassi” per illuminare la Storia, che diventa nel libro stratificazione temporale e sedimentazione ideologica, prosa elegantissima, e potente e poetica: dall’immensa rovina del terremoto del 1693 del racconto dell’incipit – “Delle fiamme, dell’amore” – a Francisca di “Correva l’anno 1698…”; da Annarcangela, de “La donna pittora” a Ignazia Perremuto (il cui racconto offre il titolo al libro) che in un altro spazio-tempo, non quello in cui la vita di una donna è costretta tra “famiglia e convento, tra chiacchiere e pratiche devote”, sarebbe stata una delle femmes-filosofes francesi; da Giovanna Bonanno, la vecchia dell’aceto e del suo celeberrimo processo a quella Levia in cui sfocia idealmente il libro: la cavalletta nella cui leggerezza felice l’Attanasio pare immedesimarsi per attraversare la Storia; insetto nel quale incarnare la figura della libertà “rispetto alla condizione umana, dolorosamente compressa da responsabilità e pregiudizi”, culminando il suo volo in quella modernità che la Rivoluzione francese spalanca e nella quale il muto accadere di vite negate e neglette, di intelligenze altissime e comuni – soffocate negli atti ma non certo nella loro intrinseca vitalità – splende e rifiorisce eterno nel “bosco metamorfico” della scrittura fatta memoria.

Maria AttanasioLo splendore del nulla e altre storie, Sellerio, Palermo 2020 euro 14,00


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