“Queridos amigos, comunico que mi madre Lucia Bosè acaba de fallecer. Ya està en el mejor de los sitios.”
Con questo breve comunicato Miguel Bosè ha partecipato al mondo la scomparsa della madre, la signora Lucia Borloni, in arte Lucia Bosè. Icona del cinema italiano del dopoguerra, l’attrice ha chiuso la sua vita in un ospedale di Segovia, a 89 anni, per una polmonite secondo la Repubblica e il Messaggero, con il Coronavirus per altri giornali, che hanno dato impropriamente la notizia, di cui non vi è conferma, come news delle vittime del virus incriminato. Povera Lucia, strumentalizzata per eccitare l’audience…
La sua corta chioma blu, il suo corpo opulento nelle tuniche mediorientali, le sue rughe esibite con sorridente disinvoltura, l’aria serena di chi ha scostato le cortine della vita e intravisto quel che vale veramente, sono l’ultima immagine che ci lascia. La fiction per la TV “Capri” dove fa un’apparizione come Donna Isabella e il film “Alfonsina y el mar” dei giovani registi Davide Sordella e Pablo Benedetti sono gli epigoni di una lunghissima carriera ricca e articolata che la portò giovanissima, di modeste origini, romantica sognatrice di un destino diverso, all’apice della carriera nel magico mondo del cinema. E al cinema ha dedicato tutta la vita, tranne una lunga parentesi matrimoniale dal ’55 con il toreador spagnolo Miguel Dominguin, da cui ebbe tre figli e dal quale divorzierà nel ’68, a causa delle reiterate infedeltà, con rivoluzionario piglio femminista. Amata e diretta da grandi registi come Antonioni, Fellini, Bolognini, i fratelli Taviani, Francesco Rosi, Duras, Faenza, Ozpetek, la Bosè nei suoi film inalbera con sicurezza lo charme e la classe innata di un’artista dalla spiccata personalità. Ineccepibilmente bella, allegra, simpatica, un po’ ribelle, lo sguardo intenso e vellutato, la diva, che ha inciso la memoria con la grazia delle sue forme opulente da “maggiorata”, fu scoperta per caso giovanissima, tra i marron glacé, da Luchino Visconti, con il quale nacque una grande amicizia. Grazie al Maestro, che ne aveva subito intuito le doti di “animale da palcoscenico di una innata eleganza proletaria”, e al titolo di Miss Italia 1947, Lucia lascia il bancone della pasticceria, nonostante il parere contrario dei genitori, irresistibilmente attratta dal mondo del cinema.
Inizia così l’ascesa vertiginosa di una ragazzina semplice, ora assurta agli onori della cronaca come esponente del divismo all’italiana, corteggiata dai maggiori registi italiani del momento. Visconti la propose a De Santis che nel ‘50 la veste da pastorella ciociara in “Non c’è pace tra gli ulivi” segnandone il debutto. Nello stesso anno gira come protagonista con Antonioni “Cronaca di un amore” e nel ’52 “La signora senza camelie”. A questi esordi illustri segue un lungo periodo di commedie rosa e comico-farsesche. Tra tutte ci piace ricordare “Le ragazze di piazza di Spagna” di Emmer, dove Lucia spicca per la sua elegante bellezza, fiorita in un modesto ambiente, come lei nel mondo operaio milanese della sua vita reale. Un’ascesa interrotta dal suo matrimonio, finito il quale, con un divorzio che fece scandalo perché agito da una donna, l’attrice riprende il suo lavoro nel panorama cinematografico internazionale, spaziando tra Spagna, Francia, e Italia. La sua presenza carismatica lascia così un’impronta indelebile nell’empireo della decima musa.
Il suo fascino misterioso la porterà in questa seconda fase a rivestire ruoli, se pur marginali, fortemente incidenti, dando conferma della sua tempra artistica e del suo forte carattere. Generosa e determinata, nel 1987 si ritira a vita privata a Segovia, scegliendo la Spagna come luogo privilegiato di residenza. Dedita ad altri interessi artistici intraprende un cammino di spiritualità culminante nel 2000 con la realizzazione di un sogno di gioventù: aprire un museo dedicato agli angeli del mondo, presso un vecchio mulino a Turègano, vicino Segovia. Nell’ultima apparizione in pubblico alla Festa del Cinema di Roma nell’Ottobre 2019, vivace e sorridente, ha presentato la sua biografia “Lucia Bosè”, scritta da Roberto Liberatori, definendo la sua bella e ricca vita un romanzo e dichiarandosi soddisfatta di averla vissuta pienamente. In una delle sue innumerevoli interviste confesserà tra l’altro di non essersi mai piaciuta nei suoi film, mostrando uno spirito mordace e un’autocritica rara nel mondo dello spettacolo. Segno che la sua natura semplice ha coabitato con la diva, senza lasciarsi sopravanzare. Del resto la Bosè ha sempre avuto chiaro che il cinema occupava il 50% della sua vita, alla quale non ha mai voluto rinunciare, come non ha mai voluto rinunciare a scegliere ragionando con la sua testa, ma soprattutto facendosi guidare dal suo potente istinto atavico.
La ricorderemo come una delle attrici più spontanee e moderne dal dopoguerra ai giorni nostri, un’antesignana dell’antidivismo, una donna libera, coraggiosa, costruttiva. “Lucia amata adorata…ti sia lieve la terra” è stato il poetico saluto di Ozpetek al quale aggiungiamo “…come tu lo sei stata per la terra, per noi”.