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Supermercati aperti e Camera quasi chiusa

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La novità è grande, mai vista prima: la Camera marcia al “lumicino”, è quasi chiusa. La parola chiave che porta la Camera dei deputati a ridurre sempre di più l’attività è «rimodulazione». Roberto Fico l’11 marzo ha annunciato all’assemblea di Montecitorio una «ulteriore rimodulazione del calendario dei lavori» decisa dalla conferenza dei capigruppo per l’emergenza del Coronavirus. Risultato: l’assemblea dei deputati si riunisce una sola volta alla settimana e a presenze dimezzate.

Quasi azzerata anche l’attività delle commissioni parlamentari. Il presidente della Camera ha precisato: i lavori «saranno dedicati esclusivamente all’esame» delle norme per combattere il virus cinese e le sue pesanti conseguenze economiche.

La paura del contagio del Covid-19, una pandemia senza confini, aveva fatto breccia da tempo tra i banchi di Montecitorio. Matteo Dall’Osso, deputato di Forza Italia, ex M5S, girava nell’aula della Camera con il volto coperto da una mascherina. Le stesse precauzioni usava Maria Teresa Baldini: anche la deputata di Fratelli d’Italia si muoveva con una mascherina. Poi sono arrivati gli infettati: Claudio Pedrazzini, Gruppo Misto, ex Forza Italia; Luca Lotti, Pd; Edmondo Cirielli, Fratelli d’Italia, ricoverato nell’ospedale Cotugno di Napoli. Quindi si sono aggiunti altri parlamentari contagiati: Pier Paolo Sileri, senatore del M5S, vice ministro della Salute; Anna Ascani, deputata democratica, vice ministro dell’Istruzione; Chiara Giribaudo, sempre deputata Pd.

La paura dell’infezione è aumentata, così il Pd e la Lega pensano di sostituire il voto dei deputati nell’aula della Camera con il “voto a distanza”. La questione è sul tavolo. Il capogruppo del Pd a Montecitorio Graziano Delrio è favorevole: «Dobbiamo prepararci a usare il voto a distanza per consentire a tutti di partecipare alle votazioni». Emanuele Fiano, Pd, dice sì all’ipotesi: certo verrebbe ridotta l’attività del deputato ma «in questo caso credo siano preminenti la salute e la sicurezza».

Molto determinato è Riccardo Molinari.  Il capogruppo della Lega alla Camera propone di cambiare «il regolamento per prevedere il voto a distanza, così da evitare di andare in Aula». Si può affrontare «questa situazione di emergenza» e poi, precisa, si potrà tornare alla normalità. Comunque riconosce che c’è «qualche dubbio di costituzionalità». Gli altri partiti sia della maggioranza e sia dell’opposizione, invece, o sono contrari o molto dubbiosi sull’adozione del “voto a distanza”.

Certo, un problema di legittimità costituzionale c’è: la Costituzione della Repubblica italiana prevede il voto dei deputati nell’aula della Camera. La questione è delicatissima: i parlamentari sono la somma espressione della sovranità popolare e “il voto a distanza” potrebbe essere una ferita al loro ruolo. Non solo. C’è anche un problema di opportunità politica. Il contagio del Coronavirus fa paura a tutti, ma i medici, gli infermieri, i farmacisti, i commessi dei supermercati di generi alimentari continuano a fare il loro dovere. Lavorano anche i giornalisti, gli autisti degli autobus e gli operai delle fabbriche ancora aperte. Usano delle precauzioni sanitarie per tutelate la salute (mascherine, guanti, fino ad arrivare ai caschi e alle tute negli ospedali) e svolgono il loro lavoro con coraggio. Ecco, i parlamentari possono usare analoghe precauzioni ma è difficile tirarsi indietro. Se lo facessero sarebbe un colpo terribile al loro ruolo, alla loro autorevolezza e credibilità. I rappresentanti del popolo, la classe dirigente del paese, hanno qualche dovere in più.


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