Il silenzio mediatico sui crimini commessi contro i civili siriani da tutte le parti coinvolte nel conflitto sta diventando sempre più assordante.
La Siria, il 15 marzo, entrerà ufficialmente nel nono anno di guerra. La priorità di Damasco e dei suoi alleati stranieri è vincere a ogni costo. E infatti l’impunità regna sovrana nel Paese. Il regime non ha alcuna intenzione né interesse a perseguire i responsabili di gravi violazioni dei diritti umani.
Anzi, il presidente Assad nega ogni addebito mosso dalla comunità internazionale, alimentando la propaganda nazionalista con una retorica ben misurata. In una recente intervista a RT, sito informativo finanziato dal Cremlino, ha dichiarato: “tanti siriani stanno morendo per difendere la propria Patria, il proprio futuro (…). Come potrebbero sostenere uno Stato, un presidente e un esercito che li uccide?”.
Eppure, esistono pile di fascicoli che documentano atti di tortura, sparizioni forzate, attacchi in zone residenziali, stupri, pratiche di riduzione in schiavitù di minoranze etnico-religiose.
La lunga lista dei crimini compiuti dalle forze di sicurezza inizia nel 2011 durante le note proteste anti-Assad.
La UN CoI Syria (United Nations Independent International Commission of Inquiry on the Syrian Arab Republic), istituita dal Consiglio dei Diritti Umani nell’agosto 2011, nel suo primo report rilevava l’uso spropositato della forza nonché esecuzioni sommarie, detenzioni arbitrarie e abusi nei confronti di bambini.
Nelle 39 pagine – basate su 223 colloqui con vittime e testimoni – si legge, tra l’altro: “l’utilizzo sistematico della tortura come strumento per infondere paura indica che i funzionari statali stanno avallando queste azioni”. A preoccupare la Commissione erano “soprattutto le informazioni circa le violenze sessuali ai danni di uomini e ragazzi nei centri di detenzione“.
Per una lunga fase della crisi, le autorità siriane hanno vietato l’ingresso sul proprio territorio a giornalisti e osservatori internazionali. Il racconto della repressione è stato possibile grazie ai video girati con gli smartphone da attivisti per i diritti umani e rifugiati. I cittadini siriani già residenti all’estero hanno dato un grosso contributo nel diffondere notizie sulla campagna oppressiva in atto. E per questo, come riportato da Amnesty International, sono stati minacciati dal personale diplomatico mentre i loro parenti in Siria venivano intimiditi, arrestati, torturati e costretti a ripudiarli pubblicamente.
La portata delle atrocità che si stavano (e si stanno tuttora) consumando in Siria emerge soltanto nel 2014 con il file “Caesar“.
Caesar – nome in codice di un fotografo forense disertore del regime – rende note ben 28.707 immagini di morti in custodia governativa. Le foto, trafugate prima di abbandonare il Paese, ritraggono corpi emaciati dalla fame, torturati, mutilati, con ferite profonde, lividi, segni di soffocamento… Continua su vociglobali