“Ogni tempo ha il suo fascismo. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col terrore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine”.
Parole che sembrano prese in prestito da un lucido editoriale pubblicato stamane su un quotidiano. Ed invece sono le riflessioni dello scrittore Primo Levi vergate in tempi non sospetti. Forse la sua esperienza di chimico gli tornò utile nella scrittura per una analisi “scientifica” dei fatti, per mettere insieme le “reazioni” dei fattori umani. Parole illuminanti.
Gli amici di Articolo 21 sono stati tra i primi a capire l’importanza dell’uso corretto delle parole. Sembra strano che i professionisti della parola (giornalisti, scrittori, politici, conduttori, etc) troppo spesso dimentichino l’esplosivo arsenale verbale di cui sono depositari ed i danni collaterali che possono provocare (anche inconsapevolmente) con l’uso inappropriato di parole trasformate in proiettili.
Provocatoriamente dovremmo farci promotori di un provvedimento simile al Daspo (il divieto di accesso alle manifestazioni sportive) rivolto a quanti in televisione, radio, social, etc . usano un linguaggio (ed atteggiamento) violento, prevaricatore ed aggressivo. Se ai tifosi violenti è vietato l’ingresso negli stadi, così dovrebbe essere precluso l’uso dei mass media ai tanti galli da combattimento impegnati quotidianamente nelle arene di confronto. Ovviamente mi rendo conto dell’impossibilità di un Daspo radio-tv-social. Chi decide? Quali organismi, nominati da chi, con quale finalità ….eccetera.
Lungi da me invocare dunque la censura . E’ solo una provocazione, un modo per gettare il sasso nello stagno.
“Parole, non pietre” sarà una occasione per ragionare insieme su un argomento sensibile che riguarda non solo l’Italia. In Ruanda ad esempio quelle parole che nel 1994 uscivano dai microfoni di Radio Mille Colline per invadere come pietre rotolanti le case si trasformarono nelle strade in affilati machete, in bastoni chiodati capaci di dare la morte agli “insetti”, come un “giornalista” (più propriamente un criminale) definiva i tutsi e gli hutu moderati. Se vi capita l’occasione leggete libri e articoli sulla funzione svolta da questa radio nel conflitto interetnico di quel tempo. E’ illuminante proprio sull’uso distorto delle parole.
Non riuscirò ad essere a Roma nei giorni del dibattito ma sarò presente in spirito. Sotto quel primo manifesto presentato ad Assisi nel settembre 2017 c’è anche la mia firma. Ed un onere da rispettare.