Codici arcaici e droga, la ndrangheta da Roma alla Calabria

8 0

Il 5 agosto del 2013 Gianni Cretarola decide di collaborare con la giustizia in merito all’omicidio di Vincenzo Femia, esponente della cosca di San Luca in Aspromonte (RC) trapiantato a Roma da anni. Il collaboratore confessa di aver fatto parte di una cellula ‘ndraghetista operante nella Capitale ed evidenzia lo spessore criminale dei soggetti coinvolti nell’omicidio. L’ordine di assassinare Femia, coinvolto in contrasti per la spartizione di droga, è stato impartito da Giovanni Pizzata, che di quella cellula era il capo società, con funzioni direttive ed organizzative detenuto presso la casa Circondariale di Rebibbia. Nella sua confessione, il collaboratore di giustizia racconta nei minimi dettagli l’omicidio in pieno stile mafioso, maturato in ambiente di ‘ndrangheta. Il commercio di droga coinvolgeva su Roma distinte cosche di S. Luca: i Nirta (di cui Femia era un componente), i Giorgi (della cui cellula di Roma Giovanni Pizzata era il capo) e i Pelle. Queste famiglie sono tutte legate tra loro da vincoli di parentela, essendo cugini incrociati, cioè figli di fratelli. Il grado di parentela ha lo scopo di assicurare la continuità del gruppo attraverso matrimoni tra consanguinei, di mantenere l’ordine sociale per mezzo di regole “d’onore” e provvedere alle necessità primarie dei membri con regole di produzione e consumo. La prima organizzazione della ‘Ndrangheta è la ndrina, formata dai membri di una famiglia naturale legata da vincoli di sangue. Frequenti sono i matrimoni tra le varie cosche, per saldare il rapporto tra le famiglie mafiose.

Si entra a far parte della ‘ndrangheta (o meglio, si viene “battezzati’) con un rito iniziatico preciso, che può essere automatico nel caso in cui si tratti del figlio di un boss oppure tramite un giuramento. Così il “giovane d’onore” diventa dapprima “picciotto” ed in seguito gli potranno essere conferite altre “doti”. La carica è il ruolo che il singolo affiliato svolge all’interno di una struttura di ‘ndrangheta e l’attribuzione delle cariche è collegata al possesso di uno specifico grado o “dote”.  Nel corso dell’interrogatorio del 30 agosto 2013, Gianni Cretarola descrive la cerimonia di affiliazione svoltasi all’interno della calzoleria della Casa Circondariale di Sulmona, dove lavorava insieme al detenuto Massimiliano Sestito. Cretarola racconta di essere stato battezzato come “picciotto” attraverso un cerimoniale che prevedeva la presenza di cinque persone e l’apprendimento della “copiata”, ovvero i tre nomi che un affiliato deve conoscere. I tre ‘ndranghetisti di livello “garantiscono” per il soggetto che si appresta a ottenere la carica di “picciotteria”, cioè il grado più basso di chi entra a far parte dell’organizzazione. Gianni Cretarola attribuisce un ruolo di assoluto rilievo, nella sua cerimonia di affiliazione, a Massimiliano Sestito, il “puntaiolo”, cioè colui che nel rito dell’offerta del sangue tiene in mano il coltello con cui l’affiliato deve ferirsi: ne consegue l’inevitabile gesto. Essendo in carcere la mancanza di un coltello è ovviata tramite un punteruolo da calzolaio. È il novizio che deve pungersi da solo: se non ci riuscisse, al terzo tentativo l’auspicio sarebbe pessimo e bisognerebbe rinviare il tutto di sei mesi. La mano di Cretarola, comunque, è ferma e il sangue scorre. Iniziano le formule del rito:  Se loro battezzavano co’ gelsomini e fiori di rose in mano, io battezzo con gelsomini e fiori di rose. Subito dopo avviene il taglio della mano sinistra di Cretarola ed egli prosegue la formula: giura di rispettar le regole sociali; giura di rinnegare madre, padre, fratelli e sorelle; giura di esigere e transigere centesimo per centesimo e millesimo per millesimo; qualsiasi azione farai contro le regole sociali sarà a carico tuo e a discarico della società. Lo giuri?” e il battezzato ripete unicamente: lo giuro. Con l’affiliazione Cretarola acquisisce la dote di picciotto d’onore, grado iniziale della gerarchia ‘ndranghetistica, con funzione di esecutore di ordini. Dopo sei mesi avrebbe potuto assumere una carica sociale superiore ma, nel suo caso, ne sono stati sufficiente appena tre, poiché si era già macchiato di un reato di sangue. Il collaboratore racconta che ogni copiata si accompagna con una filastrocca cioè il racconto di come sia stata ottenuta la dote. E quindi: nella picciotteria c’è una bella mattina di sabato santo passeggiando passiamo sopra la riva del mare una barchicella con tutto… 

Altro fondamentale riscontro è emerso in seguito alla perquisizione eseguita presso l’abitazione di Cretarola a Roma. Viene rinvenuto e sottoposto a sequestro un quaderno a righe di colore rosso, contenente appunti scritti di pugno dallo stesso indagato. Alcune annotazioni sono riportate in caratteri non convenzionali, verosimilmente estrapolati da un alfabeto criptato. Analizzando più nel dettaglio i manoscritti, la Polizia Giudiziaria è riuscita a decodificare ogni singola lettera, ricostruendo l’intero alfabeto creato dal Cretarola. La filastrocca è ordinatamente appuntata sul diario sequestrato: Una bella mattina di sabato santo alla spuntare e non spuntare del sole passeggiando sulla riva del mare vitti una barca dove stavano tre vecchi marinai che mi domandarono cosa stavo cercando io gli risposi sangue e onore Mi dissero di seguirli che l’avrei trovato Navigammo tre giorni e tre notti fino od arrivare nel ventre del isola della Favignana…[…] Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia sono attendibili ma soprattutto rispecchiano perfettamente la realtà su cui si fondano; basta andare a San Luca e fare un giro tra le case distrutte dall’alluvione del 1951 per trovare proprio quelle  scritte sui muri che la squadra mobile ha tradotto: Na barchicella vidi navigato cu cinque veli e sei marinai, mi dissuru giuvanotto chi cercati: cercu onuri e sangue si inchinativi onori e sangue trovati mi portaru nta nai di nome Favignana Eolia c’era un castellu Sta lettera è dedicata uni raggazzacci di San Luca per capire che dobbiamo essere contrari all’umanità Sbirri Cornuti. Presenti nel muro, fori provacati da proiettili.

Il collaboratore, in uno dei suoi tanti interrogatori, racconta di un altro rituale di affiliazione ‘ndranghetistico della famiglia Crea, insediata nella Capitale da diversi anni. Questa famiglia proviene da Stilo, paese collocato nell’alto ionio reggino, il quale è sempre stato teatro di violente faide. Il collaboratore riferisce di una cena alla quale era stato invitato: nel corso della serata, svoltasi a casa di Claudio Crea, i partecipanti degustavano un piatto tipico e simbolo di aggregazione, i ghiri e, con il taglio della coda dell’animale, davano un significato molto peculiare a quell’incontro, che diveniva passaggio fondamentale del rito di affiliazione della cosca. L’affiliazione mafiosa, quindi, non fa altro che ricalcare i più antichi modelli di appartenenza, tramandati attraverso rituali settari e formule codificate e criptiche.

 

 


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21