Il concetto di trascendenza nella cultura occidentale è intrinsecamente legato alla sfera religiosa. Il sistema filosofico sul quale è strutturato è quello greco-cristiano, che partendo da Platone, passando da Cartesio e finendo a Immanuel Kant, concepisce il nostro come un universo teleologico controllato da leggi immutabili, per cui il risultato di “2+2” è sempre uguale a 4.
Quando si parla di cinema trascendentale i registi più noti che vengono in mente sono Carl Theodor Dreyer, Robert Bresson e Andrej Tarkovskij, che hanno incentrato gran parte del loro discorso sulla perdita di fede. Oggetto di questo saggio è invece una trascendenza nuova, definita post-cristiana perché inclusiva di fondamenti di altre religioni (soprattutto orientali) e di differenti discipline, come la fisica quantistica.
Quali sono i principi cardine del cinema trascendentale tradizionale? Secondo quello che scrive Paul Schrader ne Il trascendente nel cinema soprattutto un preciso stile di grande rigore, raggiungibile attraverso la manipolazione di elementi quali l’angolazione della m.d.p, l’illuminazione e il montaggio. Il regista crea quindi, consapevolmente un’immagine neutra atta ad evocare una verità divina al di sopra dell’uomo.
Diario di un curato di campagna (1950) di Robert Bresson ne è l’emblema. Il giovane curato, alle prese con le ordinarie incombenze della parrocchia, pian piano si ritrova emarginato dalla sua comunità. La colpa che nessuno gli perdona è di seguire alla lettera il messaggio cristiano. Inizialmente la sua fede sembra vacillare ma la ritroverà nell’abnegazione e nell’identificazione con il Cristo morto per l’umanità.
Anche Borgen, il disilluso protagonista di Ordet (1955) di Carl Theodor Dreyer, non riesce più a pregare con convinzione. Solo la morte della nuora (e la successiva resurrezione) gli restituirà la fede. Ordet è un film paradigmatico per lo stile trascendentale: le inquadrature sono fisse e lunghe, i movimenti lenti e il montaggio spesso è limitato al raccordo tra gli interni e gli esterni. Un altro aspetto da rimarcare nel film è il rapporto tra essere umano e natura, presentata fin dall’inizio come minacciosa. Le dune alte e ventose rappresentano la follia dentro la quale Johannes rischia di perdersi, mentre la casa è il rifugio in cui può ritrovare il suo equilibrio mentale.
Questo aspetto pericoloso e incombente della natura è anche il fulcro narrativo di Stalker (1979) di Tarkovskij. La Zona, che funge da allegoria della spiritualità, capisce l’animo di chi vi si addentra ed è pronta a punire, con trappole mortali, chi nasconde cattive intenzioni. Il protagonista è uno Stalker, cioè a dire una guida che accompagna le persone fino alla Stanza, una sorta di santuario in cui si recano gli infelici che non hanno ancora perso la speranza. La fede dello Stalker si oppone allo scetticismo dello Scrittore e al pessimismo dello Scienziato, i quali, alla fine, decidono di non entrare nella Stanza.
Questi tre film ruotano attorno ad uno stesso tema: la lacerante crisi dell’uomo contemporaneo che ha perduto la fede in Dio. L’unica strada possibile per la “salvezza” è quella di accettare ciecamente fede e dogmi, quando non addirittura il miracolo, come nel caso di Ordet e Stalker.
Il paradigma filosofico occidentale durato quasi 2500 anni, ha iniziato a vacillare nei primi del Novecento con le teorie di Albert Einstein (meccanica quantistica e relatività) che hanno stravolto la concezione di tempo e spazio assoluti di matrice newtoniana. Ed è stata proprio la fisica ad aver incorporato le tensioni esistenziali che prima erano un’esclusiva della filosofia, basti pensare alla recente teoria delle stringhe che ipotizza un universo a undici dimensioni (sette in più di quelle che riusciamo a percepire). Questi sconvolgimenti, uniti ad un interesse crescente verso le filosofie orientali e i culti esoterici, hanno portato sempre più persone, dalla metà degli anni Sessanta, ad abbracciare una spiritualità più sincretica, definita genericamente New Age. Una categoria che comprende le più disparate credenze e i cui punti fermi sono: la reincarnazione, le esperienze extracorporee e un concetto di tempo non lineare.
Secondo questa nuova trascendenza la ricerca del senso della vita non risiede più nella fede o nella conoscenza, ma nell’intuizione ossia in un accadimento inaspettato che sconvolge la percezione di realtà.
Il cinema contemporaneo si è fatto spesso portavoce di questo cambiamento socio-culturale come dimostrano, Donnie Darko (2001) di Richard Kelly, Valley of Love (2014) di Guillaume Nicloux, I Origins (2015) di Mike Cahill e Waking Life (2001) di Richard Linklater.
Un testo fondamentale per la comprensione della nuova trascendenza è Materia e memoria di Henry Bergson le cui teorie sono state poi riprese da Gilles Deleuze in L’immagine-movimento, che al contrario di Schnader, considera il movimento cinematografico per natura trascendentale. Secondo il filosofo francese non esiste un’idea di tempo scientifico e quindi calcolabile, bensì uno personale che corrisponde alla coscienza dell’individuo. In questa ottica la memoria viene vista come la congiunzione tra spirito e materia, considerata un insieme di immagini, che stanno in mezzo tra la rappresentazione e la cosa. I ricordi si mischiano alla percezione reale degli eventi tanto da alterarla. Un film costruito su questo assunto è E Johnny prese il fucile (1971) di Dalton Trumbo. Il protagonista è ridotto ad un tronco umano impossibilitato a vedere, sentire e parlare, e vive solo attraverso i sogni e i ricordi. I limiti della contingenza corporea costringono la sua anima a risiedere in un luogo che non è più vita ma neanche morte. Il suo viaggio non è solo simbolico perché è come se materialmente ritornasse indietro nel tempo e rivivesse gli eventi con una nuova consapevolezza.
Anche Eternal Sunshine of the Spotless Mind (preferibile al titolo italiano Se mi lasci ti cancello, 2004) di Michel Gondry ruota attorno alla seguente domanda: “Si possono cancellare i ricordi?”. Secondo Gondry (come per Bergson) la risposta è negativa perché non risiedono solo nel cervello ma fluttuano in uno spazio indefinito in cui si muove lo spirito. È per questo che nella coscienza di Joel e Clementine persiste un sentimento inintelligibile anche dopo la cancellazione dei loro ricordi.
Ma entriamo nello specifico dei film prima citati cominciando da Donnie Darko, incentrato sulle dimensioni parallele. Donnie è un adolescente che si salva dal motore di un aereo precipitato misteriosamente nella sua stanza. Un curioso personaggio, travestito da coniglio, gli rivela che mancano 28 giorni alla fine del mondo. Grazie alla scoperta di un fantomatico libro, La filosofia nei viaggi nel tempo (che s’ispira liberamente alle teorie di Stephen Hawking), Donnie riuscirà acomprendere quello che è successo. Secondo il libro c’è la possibilità che si creino paradossi temporali che danno origine a realtà parallele chiamate Universi Tangenti, che solitamente hanno la durata di qualche settimana e il cui collasso potrebbe provocare la fine dell’esistenza. La notte di Halloween muoiono accidentalmente Frank (che si scoprirà essere il coniglio, nonché boyfriend della sorella) e Gretchen, la ragazza amata da Donnie. Quest’ultimo, dopo queste due tragedie, capisce che l’unico modo per salvare il mondo è tornare indietro nel tempo. Nel libro sta scritto che a volte, tramite le porte d’accesso, è possibile entrare in un cunicolo temporale e ritornare al momento in cui ha avuto inizio l’Universo Tangibile. Così Donnie, per rompere la circolarità di questo cortocircuito, ritorna all’attimo in cui il motore dell’aereo è caduto sulla sua camera, ma stavolta decide di rimanere nel letto.
E’ evidente come la teoria degli universi paralleli sconvolga l’impianto filosofico e religioso di millenni. Non esiste più una verità divina e immutabile ma una possibilità (forse infinita) di percorsi da seguire. Donnie in una realtà è l’assassino, mentre nell’altra è la vittima. Il film però non mostra il protagonista come la pedina di un gioco aleatorio ma anzi conferma il suo libero arbitrio. La sua coscienza, infatti, ha un potere talmente enorme da cambiare il corso degli eventi e salvare l’umanità.
Uno degli elementi più importanti che caratterizza la nuova trascendenza è la convinzione che esista una vita oltre la morte, che in passato molti registi hanno immaginato in modo semplicistico riferendosi a un Paradiso e un Inferno presi in prestito dall’iconografia cristiana.
Oggi invece si è diffusa una concezione più panteistica che piuttosto che un Aldilà contempla un Aldiquà dove i morti si muovono tra i vivi. E’ soprattutto l’immaginario horror ad aver assimilato questa visione, come dimostrano i numerosi film e le serie tv incentrate su vampiri, zombi e redivivi. Pur trattandosi in alcuni casi di opere interessanti il loro approccio alla spiritualità risulta convenzionale perché propongono la solita dinamica binaria dei buoni contro i cattivi, di “noi” contro “loro”.
Uno dei film più originali sul tema invece è Valley of Love. Nicloux propone una nuova concezione di Aldilà per cui non vengono rappresentati i soliti fasci di luce e nemmeno zombi e fantasmi che invadono la Terra. I protagonisti (interpretati da Gerard Depardieu e Isabelle Huppert) hanno ricevuto una lettera del figlio morto suicida sei mesi prima. Michael chiede loro di andare negli Stati Uniti, più precisamente nella Death Valley, dove seguendo scrupolosamente le sue indicazioni si rivelerà. Se Isabelle si reca per una minima speranza che tutto sia vero, Gerard lo fa per rispettare la memoria del figlio. Considera quella lettera il suo ultimo scherzo crudele, una punizione per i numerosi anni di abbandoni e sofferenze. Paradossalmente è proprio lo scettico Gerard ad incontrare il figlio, mentre Isabelle, troppo spaventata dall’idea di oltrepassare i confini del “reale”, non è pronta ad accoglierlo. Il film è girato con uno stile realistico, quasi documentaristico, che in alcuni momenti sfocia in un’atmosfera “sovrannaturale”, grazie soprattutto all’uso della musica e ai suoni. La scena dell’incontro notturno tra Gerard e la ragazza disabile ne è un esempio. L’aspetto surreale è creato dai rumori fuori campo e dal dialogo. Quello che infatti prepara all’eccezionalità dell’evento è il suono off che improvvisamente diventa più alto, tanto da sembrare il correlativo oggettivo dello stato d’animo di Gerard.
Tutti i critici hanno lodato la naturalezza e l’intensità della recitazione di Huppert e Depardieu, anche perché le caratteristiche dei personaggi sono state costruite rispettando quelle reali. Per tutto il film si gode la straordinaria performance dei due attori aspettando una conclusione psicoanalitica, una sorta di catarsi emotiva che sfoci in una qualche riappacificazione. Ma Nicloux con coraggio, invece di creare un finale verosimile, prende una posizione precisa e mostra senza vergogna il proprio misticismo.
Dopo il tema dell’Aldilà è inevitabile affrontare un altro caposaldo della trascendenza post-cristiana: la reincarnazione.
In I Origins, Ian è un giovane biologo molecolare che attraverso la storia dell’evoluzione degli occhi vuole provare che Dio non esiste. Nonostante i suoi sforzi di razionalizzare tutto, rimangono in lui domande esistenziali senza risposta. Per esempio è grazie alla numerologia che ritrova Sofi e ci sono molti segnali che fanno supporre che la ragazza fin dall’inizio sia consapevole che il loro amore è destinato a finire tragicamente. Il giorno del loro “non matrimonio” lo prega di non indossare le fedi prima di essere sposati e di non giocare a fare Dio compiendo esperimenti contro natura. E sembra che Ian venga punito proprio per la sua arroganza, per aver voluto sfidare il destino.
La seconda parte del film ha un ritmo cinematografico diverso rispetto alla prima. Comincia, infatti, con un’ellissi di 8 anni che propone una realtà differente da quella iniziale. Ian e Karen, diventati ormai due scienziati affermati, vengono a conoscenza di una teoria incredibile. Si può provare l’esistenza di vite passate attraverso gli occhi, perché quando si rinasce la struttura dell’iride conserva la memoria della vita precedente (ancora una volta viene in mente Bergson). Non è casuale che uno dei riferimenti cinematografici di Cahill sia Krzysztof Kiéslowskij e in particolare La doppia vita di Veronica (1991) incentrato sull’esistenza di vite parallele. Alla fine Ian avrà la conferma delle sue supposizioni, ma non sarà la scienza a fornirgliele.
Waking Life è il film (di animazione) che ha raccontato meglio il mistero del mondo onirico, considerato un altrove dove la coscienza umana trova piena realizzazione. Wiley è uno studente universitario che vive per la prima volta un’esperienza di sogno lucido. Tra dialoghi filosofici e falsi risvegli acquisisce livelli inediti di consapevolezza. La particolare tecnica utilizzata dal regista (il rotoscope) ha permesso di ricreare un’ambientazione verosimile ma allo stesso tempo sospesa. In questo “non luogo” tutto è possibile e tra i vari eventi non esiste un rapporto di consequenzialità.
Nel film viene anche fatto un riferimento allo gnosticismo e in particolar modo alla teoria sostenuta da Philip Dick, secondo la quale il tempo è un’illusione e l’umanità vive intrappolata nel 50 d.C., perché un crudele Demiurgo vuole farci dimenticare la possibilità di salvezza da parte di Cristo. Il finale di Waking Life è piuttosto emblematico, quando sembra che finalmente Wiley sia riuscito a svegliarsi lo vediamo mettersi a volare verso l’alto. Significa che è ancora dentro un sogno lucido? O è addirittura morto? Un personaggio nel film ipotizza, infatti, che dopo la morte la vita cosciente continui nella dimensione onirica con l’unica differenza che non ci si riesca più a svegliare.
I quattro film analizzati rappresentano una sorta di mappa per chi non considera la trascendenza sinonimo di fede religiosa. Non sempre è facile stabilire i confini tra una spiritualità e l’altra. Ne sono un esempio le opere di Lars von Trier e Carlos Reygadas che compiono un’operazione di appropriazione pop (quando non iconoclasta) della simbologia cristiana. I due registi, infatti, utilizzandone i codici visivi compiono un ribaltamento semantico per cui l’espiazione diventa dannazione, come dimostrano Antichrist (2009), Melancholia (2011) o Japón (2002).
Un altro caso particolare è rappresentato dal cinema di David Lynch, in particolar modo da Strade Perdute (1997), Mulholland Drive (2001) e Inland Empire (2006) che propongono una concezione di tempo non lineare. Ai personaggi viene data la possibilità di gettare uno sguardo all’interno di un mondo invisibile in cui tutto è possibile, perfino gli scambi identitari. Se queste premesse fanno propendere a definire il suo un cinema trascendentale post-cristiano, pone dei dubbi il fatto che la spiritualità contemplata sia indissolubilmente legata ai concetti cristiani di colpa e di male assoluto. I protagonisti non sono liberi di scegliere e sembrano piuttosto marionette nelle mani di capricciose divinità (che più dell’Inferno dantesco richiamano l’Olimpo omerico). Ma il cinema di Lynch è talmente complesso e stratificato che meriterebbe un saggio a parte.
A proposito di identità, se i film trascendentali tradizionali sono caratterizzati da uno stile rigoroso e un ritmo ripetitivo – secondo Schrader ottenibile attraverso tre fasi: la quotidianità, la scissione e la stasi – quelli post-cristiani hanno invece un’estetica più visionaria e spesso si avvalgono di effetti speciali.
Ma c’è un aspetto in particolare che accomuna tutti i film trascendentali post-cristiani: il risveglio della consapevolezza. Se in quelli tradizionali alla fine il protagonista riacquista la fede e ritorna ad una sorta di ordine preesistente, viceversa in quelli post-cristiani capisce che la realtà che ha conosciuto fino a quel momento è un’illusione e che esiste un mondo oltre la sua comprensione. Il binarismo della spiritualità religiosa che contrappone un’entità benigna ad una maligna viene oltrepassato da una visione che considera l’universo come un Tutto, un’Unità in cui gli esseri viventi hanno pari dignità perché costituiti dalla stessa energia. Il dualismo corpo-anima viene superato per abbracciare una molteplicità in cui l’io pensante non prevale più sulla materia.
L’eroe contemporaneo non ricerca più il divino fuori, ma dentro di sé, attivando un’energia ancora ignota. Il suo scopo non è più di far trionfare il bene sul male, ma di squarciare il velo dell’illusione cosmica (il maya induista) per raggiungere la Verità.