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Il mondo si mobilita per la liberazione di Julian Assange in vista dell’udienza del 24 febbraio

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Lunedì prossimo, 24 febbraio, è il giorno della grande mobilitazione per Julian Assange, il 48enne fondatore di WikiLeaks attraverso cui sono stati rivelati anche crimini di guerra statunitensi. E’ questa la data fissata per l’udienza cruciale in vista del verdetto di primo grado della giustizia britannica sulla domanda di estradizione negli Stati Uniti, presentata con l’accusa di spionaggio, reato che -per la prima volta- prende di mira non una spia e neppure un cittadino Usa, ma un giornalista australiano.

“Speak up for Assange” è la petizione promossa da giornalisti, associazioni giornalistiche ed esponenti del mondo della cultura internazionale che ha finora raccolto oltre 1100 firma provenienti da un centinaio di Paesi del mondo. L’appello esorta governi e stampa “a chiedere la fine della campagna scatenata” contro il fondatore di Wikileaks perché l’azione legale promossa nei suoi confronti “rappresenta un precedente estremamente pericoloso per i giornalisti, per i mezzi di informazione e per la libertà di stampa”.
Tra le adesioni quelle dell’americano Edward Snowden, whistleblower del caso Nsa, che ha parlato in diverse occasione in favore della liberazione di Assange, Giannina Segnini, direttrice della Columbia Journalism School, del linguista e saggista Noam Chomsky e in Italia dell’europarlamentare Barbara Spinelli.
“Julian Assange -si legge nell’appello- fondatore ed editore di WikiLeaks, è attualmente detenuto nel carcere di alta sicurezza di Belmarsh, nel Regno Unito, in attesa di essere estradato e poi processato negli Stati Uniti in base all’Espionage Act. Assange rischia una condanna a 175 anni di prigione per avere contribuito a rendere pubblici documenti militari statunitensi, relativi alle guerre in Afghanistan e Iraq e una raccolta di cablogrammi del Dipartimento di Stato Usa. I War Diaries hanno provato che il governo statunitense ha ingannato l’opinione pubblica sulle proprie attività in Afghanistan e Iraq e lì vi ha commesso crimini di guerra. WikiLeaks ha collaborato con un grande numero di media in tutto il mondo, media che hanno pubblicato a loro volta i War Diaries e i cablogrammi del Dipartimento di Stato Usa”.
“In una democrazia -si sottolinea nel documento- i giornalisti devono poter rivelare crimini di guerra e casi di tortura senza il rischio di finire in prigione”, mentre invece nei due anni che Assange ha passato agli arresti domiciliari e poi negli altri sette anni all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove gli era stato riconosciuto l’asilo politico, “sono stati violati i suoi diritti più elementari”. La richiesta dei promotori è perciò “l’immediata liberazione di Julian Assange. Esortiamo i nostri governi, tutte le agenzie nazionali e internazionali e i nostri colleghi giornalisti a chiedere la fine della campagna scatenata contro di lui per avere rivelato dei crimini di guerra. Esortiamo i nostri colleghi giornalisti a informare il pubblico in modo accurato sugli abusi dei diritti umani da lui subìti”.
Ma anche i medici si sono mobilitati: la prestigiosa rivista “The Lancet” ha pubblicato lunedì scorso una lettera di 117 medici e psicologi, provenienti da tutto il mondo, che si sono uniti in difesa dei diritti dell’editore di WikiLeaks e ne chiedono la “fine della tortura psicologica”. “Da quando i medici hanno iniziato a valutare Mr. Assange presso l’ambasciata ecuadoriana nel 2015 -è scritto nella lettera del gruppo di professionisti che si è denominato ‘Medici per Assange’- tutte le opinioni mediche degli esperti e le raccomandazioni urgenti dei medici sono state costantemente ignorate”.
Nel maggio dello scorso anno l’accademico svizzero ed esperto delle Nazioni Unite in materia di tortura e pene o trattamenti crudeli e degradanti, Nils Melzer, insieme ad altri due esperti medici, specializzati nella valutazione delle vittime di torture, aveva concluso che Assange dimostrava chiari sintomi di “tortura psicologica”.

Ieri, intanto, alla Bbc, ha parlato John Shipton, padre del fondatore di Wikileaks, dicendo che estradare il figlio negli Usa equivarrebbe a “una condanna a morte”. E infine, il Cantone Ginevra potrebbe chiedere alla Confederazione di rilasciare un visto umanitario per il 48enne fondatore di WikiLeaks. Promotore della richiesta il granconsigliere verde, Jean Rossiaud, che ha confermato di aver incontrato il consigliere di Stato di Ginevra, Mauro Poggia, come annunciato oggi dalla televisione della Svizzera tedesca Srf.

Anche nel nostro Paese si scende in campo: domenica 23, in piazza del Popolo a Roma, si terrà una mobilitazione “Italiani per Assange” in vista dell’udienza di lunedì.

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