Il lato peggiore dell’ultima puntata sulla sopravvivenza della Casa Internazionale delle Donne di Roma sono certe frasi delle donne che partecipano alle decisioni che riguardano uno spazio storico al centro della città, simbolo di battaglie concrete e fondamentali per le donne. La struttura è sotto sfratto del Comune di Roma, amministrato da una donna, e in Parlamento era stata trovata una soluzione alternativa, grazie ad un emendamento che avrebbe consentito di pagare 900mila euro ed evitare, appunto, lo sfratto. L’emendamento presentato dal Pd è stato però dichiarato inammissibile dalle Commissioni Affari costituzionali e Bilancio della camera (di cui una guidata da una donna) e quella “bocciatura” è stata accolta con grande soddisfazione dalla leader di Fratelli d’Italia, un’altra donna.
La motivazione del “no” lascia perplessi perché, in definitiva, lo Stato si stava accollando un onere che il Comune di Roma aveva messo in campo con lo sfratto di una struttura che, peraltro, aiuta sia il Comune che lo Stato, per esempio con le attività sociali nonché con interventi di assistenza concreta per le vittime di violenza. Ossia ciò che dovrebbero fare lo Stato e, in specie, il Comune. Sullo sfondo una battaglia (culturale) difficile e non superata con le solite dichiarazioni di solidarietà. Di fatto quando si tratta di aiutare la Casa Internazionale delle donne non tutti (né tutte) si impegnano, questo ci insegna ciò che è appena accaduto.
(nella foto la Festa di Articolo 21 ospitata dalla Casa Internazionale delle donne a Roma)