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Il circo mefistofelico de ‘La commedia della vanità’. Il testo di Elias Canetti al Teatro Argentina di Roma

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In una società distopica, si decide di mettere al bando tutto ciò che esalta l’immagine di una persona: specchi, ritratti e fotografie. I trasgressori che saranno trovati con questi oggetti rischiano dai 12 ai 20 anni di prigione mentre coloro che li fabbricano saranno puniti addirittura con la morte.

Elias Canetti, scrittore bulgaro naturalizzato britannico e insignito del premio Nobel nel 1981, scrisse La commedia della vanità nel 1934, un anno dopo l’ascesa al potere di Hitler. È evidente quanto lo scrittore per questa storia sia stato ispirato dal dittatore nazista e soprattutto da un evento particolare ancora impresso nel nostro immaginario: il rogo dei libri. Canetti attraverso uno stile grottesco parla di una società che bandisce l’immagine per distruggere l’identità interiore della persona. Ma se senza l’identificazione con un’immagine esterna il nostro Io rischia di dissolversi, è vero anche il contrario. Per questo La commedia della vanità è uno spunto di riflessione utile anche per una società come la nostra, analizzata in modo approfondito da Baudrillard, dove l’immagine non è più referente del reale ma del virtuale e dove l’ossessione per i selfie non è solo spia di vanità, ma il disperato anelito ad esistere in una frenetica contemporaneità votata solo al presente.

Claudio Longhi ha scelto di ambientare la storia in un contesto che richiama il vaudeville parigino o berlinese degli anni ’20, con una sorprendente scenografia da circo, che all’occorrenza si trasforma in palazzi, negozi e strade cittadine. Sullo sfondo c’è un enorme schermo dove sono proiettate immagini che rievocano il film Metropolis. Una macchina teatrale sfolgorante sincronizzata nei minimi dettagli dove si muovono 23 attori e attrici. In un angolo, come nelle migliori tradizioni dei cabaret anni ’20, ci sono due musicisti che suonano dal vivo: al violino Renata Lacko e al cimbalom Sándor Radics. Gli attori sono tutti molto bravi non solo a recitare vari personaggi ma a coordinarsi per tre ore e mezza nei vari movimenti e spostamenti che coinvolgono tutto il teatro e non solo il palcoscenico. Una menzione particolare a Fausto Russo Alesi, maestro di cerimonie dello spettacolo che con una carismatica presenza scenica, quasi mefistofelica, scandisce il ritmo della rappresentazione. Ricordiamo che in passato l’attore ha collaborato con registi come Nekrosius, Ronconi, Stein, Bellocchio etc.

Questa versione de La commedia della vanità di Claudio Longhi è un’allucinazione teatrale costruita su sogni e citazioni, a cui lo spettatore non può fare altro che abbandonarsi placidamente. Un’esperienza inedita per chi è abituato a frequentare un teatro di prosa e d’avanguardia più minimalista, dove la scenografia nella maggior parte dei casi è costituita da un tavolo, due sedie e un fondale nero.

LA COMMEDIA DELLA VANITA’

Testo: Elias Canetti

Traduzione: Bianca Zagari

Regia: Claudio Longhi

Assistente alla regia: Elia Dal Maso

Attori: Fausto Russo Alesi, Donatella Allegro, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Diana Manea, Eugenio Papalia, Aglaia Pappas, Franca Penone, Simone Tangolo, Jacopo Trebbi, Rocco Ancarola, Simone Baroni, Giorgia Iolanda Barsotti, Oreste Leone Campagner, Giulio Germano Cervi, Brigida Cesareo, Elena Natucci, Marica Nicolai, Nicoletta Nobile, Martina Tinnirello, Cristiana Tramparulo, Giulia Trivero, Massimo Vazzana

Musica: Renata Lacko (violino), SándorRadics

Scene: Guia Buzzi

Costumi: Gianluca Sbicca,

Luci: Vincenzo Bonaffini

Video: Riccardo Frati

Produzione: Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro Nazionale, Teatro di Roma, Fondazione Teatro della Toscana, LAC Lugano Arte e Cultura nell’ambito del progetto “Elias Canetti. Il secolo preso alla gola”.


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