Centodieci anni fa nasceva a Como Giorgio Perlasca, un eroe per caso, un personaggio singolare, sorprendente nella sua grandezza e incredibile per la riservatezza con cui ha vissuto per oltre quarant’anni senza rivelare a nessuno ciò che aveva fatto a Budapest negli ultimi mesi della guerra.
Perlasca era stato un gran fascista, uno che era partito volontario per la Guerra di Spagna e si era guadagnato sul campo la riconoscenza del regime franchista: una lettera firmata personalmente dal “Generalissimo” Franco che gli garantiva la protezione della Spagna ovunque si trovasse nel mondo.
Le vicende del conflitto vollero che, dopo l’8 settembre, non avendo aderito alla Repubblica di Salò, fosse ricercato dalle SS e costretto a cercare rifugio presso l’ambasciata spagnola mentre, nel terribile inverno del ’44, si trovava a Budapest per commerciare bestiame. Fu in quel momento che, di fronte alla brutalità nazista, alle deportazioni a bordo dei “treni della morte” organizzati da Adolf Eichmann e alle sofferenze infernali di una città ridotta allo stremo, pensò di dover agire, di dover fare qualcosa di importante, di doversi battere in nome di un’umanità perduta e di dover riscattare i propri stessi errori, rendendosi sicuramente conto di essersi schierato dalla parte sbagliata. Tuttavia, non si trattò di un pentimento o di un’abiura, non sarebbe corretto trasformare un’azione eroica in una mera questione di schieramento ideologico, perché Perlasca non riuscì ad agire come agì rinnegando le proprie convinzioni ma, al contrario, facendole valere fino in fondo. Non si dichiarò antifascista ma convintamente franchista, console di Spagna, facendosi chiamare Jorge Perlasca e approfittando delle protette messe a disposizione dal governo di Madrid, al pari dei governi di altri paesi neutrali, per salvare diverse migliaia di ebrei dalla deportazione e dalla morte certa nei campi di sterminio.
Non si può parlare solo di coraggio: fu molto di più. Perlasca rischiò la vita per gli altri, compì gesti spregiudicati, falsificò documenti e mise in atto una resistenza ai limiti dell’impossibile, lottando con tutte le sue forze in condizioni disperate, in un contesto ai limiti dell’abisso, nel gelo, in un universo senza pietà in cui ormai vigeva la legge di Darwin e non c’era alcuno spazio per la misericordia. Perlasca ebbe pietà degli ultimi, dei disperati, di persone rimaste sole e senza niente, perseguitate, oppresse, colpevoli unicamente di esser nate. Ebbe pietà della fragilità umana, contro il nazismo e contro tutte le forme di ferocia e di malvagità. Ebbe pietà e non disse nulla, trincerandosi dietro un silenzio che gli rende onore, non avendo mai cercato di approfittare del suo miracolo nell’abisso per farsi strada nella vita. Solo la riconoscenza di alcune sopravvissute che lo rintracciarono, sul finire degli anni Ottanta, in quel di Padova, ci fece scoprire questa storia ai limiti dell’incredibile. Un film di Alberto Negrin, con Luca Zingaretti nei panni di Perlasca, ha portato sul piccolo schermo una vicenda che andrebbe studiata nelle scuole, strappando all’oblio un personaggio di cui dovremmo invece andare orgogliosi, che tutti dovrebbero conoscere e ringraziare per ciò che ha fatto in quel lontano inverno ungherese e, più che mai, per come si è comportato dopo.
Jorge Perlasca, ci piace ricordarlo così, si è spento il 15 agosto 1992, all’età di ottantadue anni, senza mai professarsi eroe e senza mai venir meno alla sua proverbiale riservatezza.
Oggi un albero e una targa al Memoriale Yad Vashem di Gerusalemme lo ricordano come Giusto tra le nazioni. Per non dimenticare.
P.S. Dedico quest’articolo alla memoria di Fred Buscaglione, di cui ricorre il sessantesimo anniversario della scomparsa. Alla vigilia del Festival di Sanremo ci sta.
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21