I 60 anni di oblio e di indifferenza sulla Shoah

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Mio nonno Fritz è stato trucidato ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Solo dal 9 gennaio 2012, 68 anni più tardi, una “pietra di inciampo” lo ricorda sotto casa sui marciapiedi di Roma da dove fu deportato.

La “damnatio memoriae” dell’Olocausto degli ebrei è durata di fatto 60 anni, dal 1945, scoperta alla fine della guerra la strage di milioni di innocenti nei campi di sterminio, fino al 2005 quando l’Onu ha istituito la “Giornata della Memoria”  per il 27 gennaio di ogni anno, rimuovendo ufficialmente oltre mezzo secolo di silenzi e di oblio sulle atrocità naziste. Perché solo adesso si è deciso di guardare indietro con altri occhi? Perché un così imperdonabile ritardo?

Viltà e ipocrisia hanno accecato volutamente l’umanità, un clima ostile ha zittito e umiliato i sopravvissuti dei lager e li ha confinati per lungo tempo nelle retrovie della società e della storia, strumentalizzando i loro traumi dovuti alla sindrome del sopravvissuto ai loro compagni di sventura.  La censura e il black-out sulla Shoah e sulla emarginazione degli scampati vennero imposti dalla voglia di dimenticare il lato oscuro della immane tragedia, dall’accorato desiderio di ricominciare a vivere gettando alle spalle gli orrori e l’esperienza traumatica della guerra. E si girò la testa dall’altra parte per non urtare la suscettibilità della Germania di Bonn, per 40 anni bastione dell’Occidente contro l’impero sovietico e contro il comunismo. Preoccupazione comune delle classi dirigenti europee e degli stessi intellettuali è stata quella di parlare sottovoce dei drammi e delle colpe del passato, di metterci una pietra sopra.

Sostiene il giornalista e già parlamentare Furio Colombo, promotore della legge italiana sulla Giornata della memoria: “Il nostro Paese non ha avuto una  Norimberga sulle proprie responsabilità, non ha fatto i conti con se stesso”. “Se questo è un uomo”, il libro di Primo Levi più letto al mondo, ha dovuto attendere 20 anni per suscitare l’interesse degli editori.

Liliana Segre, 90 anni, senatrice a vita solo ai nostri giorni, segnata da Auschwitz, è stata una delle testimoni dello Shoah ignorate per decenni, e che ha sofferto una vita “di indifferenza e di pesantissimo silenzio”. Chi la ripaga degli anni di delittuosa discriminazione?

Il trascorrere del tempo può risanare le ferite ma senza pentimento non si possono assolvere le cattive coscienze dei contemporanei dalla manomissione della memoria.


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