Seicentoottantotto pagine, inclusi gli allegati, pure importanti, con cui la Direzione Investigativa Antimafia (DIA) ha riepilogato nella sua relazione di alcuni giorni fa le attività svolte e i risultati conseguiti nel primo semestre del 2019 (un arco temporale già lontano!).
Prosegue, così, ormai da quasi un trentennio, la redazione di preziosi documenti di analisi e valutazioni sulla criminalità organizzata e su quella mafiosa in particolare che il Ministro dell’Interno è tenuto a presentare al Parlamento affinché tutti possano avere contezza di quale sia realmente l’ampiezza del fenomeno criminale nel Paese. Anche per adottare quei provvedimenti legislativi o di sollecitazione nei confronti del Governo che si ritenessero necessari per contrastare più energicamente tutte le mafie, italiane e straniere.
In realtà, sul tema, non si vede una speciale attenzione per come stanno andando le cose in Italia che resta, tra i paesi democratici, “il più appetibile per i criminali” (cfr. la relazione conclusiva, approvata all’unanimità, del febbraio 2018, dalla Commissione Parlamentare Antimafia sotto la presidenza di Rosy Bindi).
Intendiamoci, nessuno si sogna di leggere in tali relazioni della sconfitta definitiva delle mafie o anche soltanto di una di esse perché, credo, non accadrà nulla di tutto questo, neanche in questo secolo.
Non è pessimismo, è semplice realismo che deriva anche da una osservazione fatta sui tantissimi episodi attribuiti alla criminalità organizzata almeno negli ultimi cinquanta anni ed anche sulla scorta di esperienze personali dirette.
Ci aspetteremmo, tuttavia, quantomeno una inversione di tendenza per controllare energicamente quella pervasiva presenza delle mafie in casa nostra ma anche in altri paesi che si rileva anche dalla semplice lettura delle relazioni della DIA degli anni passati.
Presenza sempre più ingombrante anche della criminalità straniera che sta cominciando ad annoverare anche quella proveniente dall’estremo Oriente come si legge nell’ultima relazione DIA.
Il riferimento è, per ora, solo ad “alcune tipologie di reati commessi (..) dai cittadini di origine orientale asiatica, provenienti da Paesi in condizioni di estrema povertà” che, in generale, hanno come destinazione finale il Regno Unito ma, diverse operazioni condotte da polizia di stato, carabinieri e guardia di finanza nel 2019, hanno fatto rilevare “una crescente tendenza alla stanzialità in Italia delle comunità pakistane”, le cui “espressioni criminali” hanno interessato le estorsioni, il narcotraffico (eroina, in particolare), il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Resta elevato il livello di pericolosità evidenziato dalla criminalità nigeriana che ha esteso la sua presenza anche in altre aree del territorio nazionale (Marche, Abruzzo, Puglia, Roma) che si “presenta compatta e con una fisionomia del tutto peculiare” pur con le varie “confraternite” (cults) che la compongono e che sono inquadrabili in organizzazioni mafiose come hanno confermato le ulteriori inchieste svolte nei primi sette mesi del 2019 in varie città tra cui Torino, Catania, Caserta, Firenze, Trento, Bologna (in quest’ultima città, nel luglio scorso, la scoperta della “Green Bible” (la Bibbia Verde) contenente indicazioni sulla struttura interna dei Maphite uno dei cults presenti in Italia.
Speciale attenzione della DIA anche alla criminalità albanese (cinque pagine riservate nella relazione, come per la “mafia nigeriana”), che “si conferma tra le più attive in Italia” con una presenza “su gran parte del territorio nazionale, con maggiore concentrazione al Nord e in Puglia per il Sud”.
Preoccupanti non poco “i modelli delinquenziali analoghi a quelli delle mafie autoctone” che ha adottato la criminalità cinese e la “connotazione di mafiosità” riconosciuta in alcuni recenti provvedimenti giudiziari alla criminalità romena.
Non mancano gruppi criminali georgiani, bulgari e ucraini specializzati in reati contro il patrimoni e in perenne movimento su tutto il territorio verso le zone più ricche.
Uno scenario, alla fine, davvero avvilente che non si riesce a modificare nonostante l’impegno delle forze di polizia i cui organici languono da tempo.
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