Signor Presidente, Signori Giudici, i miei avvocati mi hanno ampiamente spiegato la natura del giudizio che Vi accingete a pronunciare, sulla base del principio di diritto autorevolmente fissato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza di rinvio.
Come cittadino e come giornalista – profondamente rispettoso delle Istituzioni e dei valori di legalità che trovano espressione nella nostra Carta costituzionale – sento di rimettermi alla Vostra decisione con assoluta serenità e fiducia, riconoscendo nelle Vostre persone e nell’Autorità giudiziaria che qui rappresentate la più alta garanzia delle libertà e dei diritti individuali e collettivi su cui si fonda la nostra democrazia.
Questa Ecc.ma Corte è chiamata a stabilire se le parole adoperate nello scritto che ho pubblicato sul mio blog sono idonee a ledere la reputazione del boss mafioso Mariano Agate e, quindi, ad integrare il reato di “diffamazione” di cui sono oggi chiamato a rispondere.
Questa stessa Giustizia ha più volte riconosciuto – con una serie di sentenze passate in giudicato – la caratura criminale del capomandamento di Mazara del Vallo, il quale è stato uno dei più feroci e sanguinari esponenti di “Cosa Nostra”; mandante, sin dagli anni ‘70, di decine di efferati omicidi, fra i quali risalta l’orrore della strage di Capaci.
Mi affido, dunque, a questa Corte per un nuovo giudizio di merito sul significato esatto e sulla portata delle mie parole che ho consapevolmente vergato, facendo mia l’accorata invettiva contro la mafia che fu di Peppino Impastato, “giornalista precario” (come si dice oggi) che ha pagato con la vita la colpa di aver descritto i mafiosi e “Cosa Nostra” (l’organizzazione criminale di cui Mariano Agate è stato per lungo tempo una figura di punta) con parole assolutamente analoghe, che hanno avuto il pregio epocale di scuotere le coscienze di tanti giovani siciliani.
Il sentimento di pietas che ci accomuna tutti (e che ci distingue dall’agire e dal pensare dei mafiosi!) deve sicuramente indurci – e di questo anch’io ne sono ben cosciente! – a riconoscere a chiunque, anche al criminale più crudele, l’intangibile rispetto della sua dignità umana, dei suoi diritti primari, della sua persona. Ed è anche alla stregua di questo invalicabile “parametro di umanità” che ben dobbiamo e possiamo distinguerci dai c.d. “uomini d’onore” che certo non ne conoscono il senso ed il valore.
Questa lucida consapevolezza: la consapevolezza che la “morte è destinata a sciogliere ogni cosa” (come ammoniva Giustiniano1) e che estingue ogni reato (per dirla nei termini tecnici che Voi tutti, in quest’aula, conoscete meglio di me); non può precludere, però, un giudizio sugli atti, sui crimini orrendi, sul male che una persona ha commesso, all’interno di quel sodalizio criminale che ha insanguinato la Sicilia ed il nostro Paese.
Come tutti sappiamo: Cosa Nostra, l’organizzazione di cui Mariano Agate è stato esponente apicale, ha devastato, insieme all’esistenza di centinaia di vittime innocenti e dei loro familiari, l’anima di questa terra meravigliosa e martoriata.
Ci tengo allora a precisare – certo che vorrete tenerne conto nel vostro rinnovato giudizio di merito – che non vi era da parte mia alcuna brama o velleità di offendere la reputazione pubblica e personale del boss mafioso Mariano Agate!
Attraverso quel richiamo, volutamente sferzante, volgare – nella sua accezione etimologica – proprio perché rivolto ai più giovani lettori del mio blog; proprio perché rivolto a coloro che hanno poca dimestichezza con gli eufemismi del “politicamente corretto” ma piena cognizione del “linguaggio di strada”; ho voluto esprimere tutto il ripudio dei siciliani onesti contro la mafia, più che contro una singola persona; tutto il disprezzo contro il male che questa organizzazione criminale ha inferto alla nostra isola ed al nostro Paese, più che un monito volto a scalfire l’immagine pubblica di un singolo sodale.
L’ho fatto (com’è evidente) citando Peppino Impastato, attraverso il ricorso alla figura retorica della sineddoche: per criticare la mafia nella sua interezza, ho fatto incidentale riferimento ad un suo componente.
È questa – credetemi – l’esatta interpretazione che, nel merito, va data alle mie parole, come ha ben colto il giudice di primo grado. Ed è per questo che – pur nel fermo rispetto del principio di diritto sancito dalla Suprema Corte – sento di poter invocare innanzi a questa Ecc.ma Corte di merito, la mia assoluzione: perché le mie parole non sono, non vogliono essere, non possono essere considerate lesive della “reputazione” personale del singolo capomafia.
Per esprimere il mio e nostro disprezzo verso la sottocultura mafiosa, avrei certamente potuto usare un linguaggio più raffinato, meno esplicito, meno provocatorio, più «normale». Come però ci ha insegnato Giovanni Falcone, la più comoda “routine della normalità” è anche la meno efficace per scalfire la mentalità mafiosa1. La sera in cui ho scritto quel post, proprio come oggi, ho sentito il dovere di chiamare la mafia per quel che è; senza infingimenti, senza minimalismi, affinché tutti (anche i più giovani e meno eruditi) possano comprendere in pieno lo squallore di questa subcultura criminale.
So bene che se queste considerazioni sulla sostanza del mio scritto non dovessero essere condivise, nel merito, da questa Ecc.ma Corte, sarà inevitabile – alla stregua del principio di diritto sancito dalla Cassazione – una pronuncia di condanna.
Se così deve essere, chiedo a Lei, Signor Presidente, ed a Voi, Signori Giudici, di voler tener conto di una mia ferma ed ultima accorata richiesta.
Nella eventualità in cui questa Corte mi ritenesse responsabile del reato di diffamazione, per aver offeso, con il mio scritto, la reputazione del boss Mariano Agate; chiedo di essere condannato alla giusta pena detentiva, senza alcuna commutazione nella alternativa sanzione pecuniaria. In tal senso, ho già dato indicazione ai miei legali di non avanzare alcuna istanza subordinata di sospensione condizionale della pena carceraria.
Senza alcun intento polemico ma con sincero e profondo rispetto per la Vostra decisione (qualunque essa sarà), vorrei così testimoniare, unitamente al mio ossequio verso la legge e la Giustizia, il mio più intimo e coerente impegno di cittadino, di padre, di giornalista, di siciliano onesto per quegli ideali che da sempre ispirano la mia vita.
Non Vi nascondo che ho vissuto l’onta di questa accusa e questi anni di processi con grande disagio ed amarezza. Mi è stato di conforto, per tutto questo tempo, il calore della mia famiglia; la vicinanza umana e professionale dei miei generosissimi avvocati; la solidarietà di tante realtà associative impegnate nella lotta alle mafie ed il sostegno provvidenziale di alcuni colleghi giornalisti, fra i quali sento di ricordare Santo Della Volpe, che tanto mi manca in questo giorno ma che sento idealmente qui a fianco a me, a darmi forza mentre pronuncio queste parole innanzi a Voi.
Vi ringrazio di cuore, Eccellenze di questa Corte di Appello, per la pazienza con cui avete ascoltato questa mia dichiarazione.