Fu una strage neo-fascista collegata ad apparati dello Stato. Questa la verità giudiziaria a 40 anni dallo scoppio della bomba nella sala d’attesa del primo binario della stazione di Bologna. La sentenza con la quale la corte d’assise ha condannato all’ergastolo Gilberto Cavallini per aver aiutato gli esecutori materiali Mambro, Fioravanti e Ciavardini dice questo, una conferma e qualche segreto in meno. Cavallini, terrorista nero come gli altri (nove ergastoli, 37 anni di carcere) era il più anziano della banda, che prima e dopo il 2 agosto 1980 compì omicidi e rapine in serie. Era lui a tenere i collegamenti con gli ambienti neofascisti e i servizi segreti dello Stato. Oggi le prove emerse dal processo non sono solo suggestioni giornalistiche.
“E una strage fascista e in questa istruttoria la novità è che è cominciato ad emergere l’inquietante collegamento con gli apparati deviati della Stato”, analizza Andrea Speranzoni, avvocato che fa parte del collegio di parte civile che tutela i familiari delle vittime del 2 agosto. ”E’ emerso che Gilberto Cavallini aveva i numeri di telefono di una struttura dell’intelligence. E’ emerso un covo dei Nar in via Gradoli a Roma nel luogo noto per il sequestro di Aldo Moro, tre anni prima. Sempre i Nar (Mambro e Fioravanti) dopo la strage affittarono un appartamento a Milano in via Washington di proprietà del servizio segreto militare. Sono emersi molti punti di contatto di Gilberto Cavallini con gli apparati deviati dello Stato. I Nar non erano un gruppo di giovani spontaneisti isolati.”
Gli uffici della Procura generale hanno seguito a distanza ravvicinata il processo appena concluso e ora l’inchiesta sui mandanti, aperta da due anni e formalmente chiusa il 28 dicembre scorso, potrebbe sfociare nel processo sempre invocato e mai conquistato dalla giustizia: quello sui mandanti della strage. Nei fascicoli ci sono indagati, numeri di telefono, covi e movimenti di denaro.
40 anni sono tanti certo, ma ancora di più sono stati i depistaggi e i segreti che per la seconda volta hanno ucciso 85 persone e ferito oltre 200. Hanno minato la credibilità di uno Stato che ora solo processando se stesso dimostrerebbe che la verità non va in prescrizione, anche con mezzo secolo di ritardo.
“E’ un atto di giustizia che va riconosciuto prima di tutto alle vittime e ai loro famigliari, commenta l’avvocato Speranzoni, ma anche a tutti i cittadini che in questi anni non si sono arresi e hanno continuato a chiedere verità e giustizia sull’attentato più barbaro della storia della Repubblica che ha condizionato la vita politica e sociale di questo”.