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Mi piace che quello dei giornalisti si chiami Sinodo

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Mi piace che quello dei giornalisti si chiami Sinodo. Che è prima di tutto è  una parola laica, che nel suo significato originario tiene insieme le assemblee degli uomini (secondo i greci) e le congiunzioni degli astri, per gli studiosi del firmamento. Anche noi giornalisti abbiamo bisogno di incontrarci, per una volta senza contabilizzare rivendicazioni ne questioni contrattuali (che pure contano,. eccome) ma per tentare di ritrovare le parole comuni del nostro “essere” giornalisti, che è diverso dal pur faticosamente “fare” i giornalisti.
Incontrando Avvenire, Papa Francesco ha consegnato un mandato che in fondo dovrebbe essere, per stare ancora al sinodo in senso astronomico, la stella polare di ciascuno: “Nessuno detti la vostra agenda, tranne i poveri, gli ultimi, i sofferenti”. Qualche decennio prima era stato Paolo VI a spronare la stampa d’ispirazione cattolica, con parole anche qui molto laiche: i giornali cattolici non devono «dare delle cose che fanno impressione o che fanno clientela. Noi – diceva – dobbiamo fare del bene a quelli che ascoltano, dobbiamo educarli a pensare, a giudicare».
Qualcosa del genere la diceva uno dei più grandi giornalisti di sempre. Era Pippo Fava, e ci riguarda ancora: “In questa società comanda soprattutto chi ha la possibilità di convincere. Convincere a fare le cose: acquistare un’auto invece di un’altra, un vestito, un cibo, un profumo, fumare o non fumare, votare per un partito, comperare e leggere quei libri. Comanda soprattutto chi ha la capacità di convincere le persone ad avere quei tali pensieri sul mondo e quelle tali idee sulla vita. In questa società il padrone è colui il quale ha nelle mani i mass media, chi possiede o può utilizzare gli strumenti dell’informazione, la televisione, la radio, i giornali, poiché tu racconti una cosa e cinquantamila, cinquecentomila o cinque milioni di persone ti ascoltano, e alla fine tu avrai cominciato a modificare i pensieri di costoro, e così modificando i pensieri della gente, giorno dopo giorno, mese dopo mese, tu vai creando la pubblica opinione la quale rimugina, si commuove, s’incazza, si ribella, modifica se stessa e fatalmente modifica la società entro la quale vive. Nel meglio o nel peggio”.

E di questo, del meglio o del peggio che ogni giorno contribuiamo a confezionare,     dobbiamo trovarci a parlare non in un assemblea, ma proprio in un Sinodo.


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