Se una ricerca provasse a misurare la quantità di persone scese in piazza nel 2019 in decine di paesi del mondo, arriverebbe probabilmente a una stima di decine di milioni.
Non si ricorda, negli anni recenti, una mobilitazione così intensa e globale, in ogni continente: da Hong Kong a Santiago, da Beirut a Parigi, da Algeri a Bangkok, da Teheran a Bogotá, da Baghdad a Londra, da Quito al Cairo, da Malta a Varsavia. Senza dimenticare le centinaia di migliaia di persone che hanno affollato le piazze italiane, dal 2 marzo a Milano fino al 14 dicembre a Roma, passando per il 30 marzo a Verona.
Alcune piazze le abbiamo viste, altre solo intraviste, altre sono state completamente oscurate, come in Kashmir e di nuovo negli ultimi giorni in Iran. A raccontare, o tentare di raccontarle, è stato il meglio del giornalismo: uomini e donne dotati di grande coraggio e della voglia di dare voce a chi non ha voce.
Le domande che dobbiamo farci quando sta per iniziare il nuovo anno sono: le piazze continueranno a riempirsi di persone che chiedono dignità e diritti? E la risposta dei governi sarà ancora solo e sempre repressione?
Il 2019 sarà ricordato per questa urgenza, avvertita dalle persone comuni, di mettersi di traverso rispetto all’odio, alla corruzione, alla mancanza di libertà e di giustizia, alla disuguaglianza, alla violenza delle istituzioni, alle loro politiche economiche.
Ma dovremo ricordarlo anche come l’ennesimo anno in cui i leader più influenti non hanno fatto nulla per risolvere le tre grandi crisi globali: dei conflitti, dei rifugiati, del clima.
Quest’anno si chiude con l’assedio russo-siriano della provincia di Idlib, con la spaventosa percentuale di morti nel Mediterraneo rispetto alle partenze (8,6 per cento secondo l’Unhcr) e migliaia di persone letteralmente assiderate lungo la rotta balcanica; con un violentissimo tifone, l’ennesimo, nelle Filippine mentre in tutt’Europa si festeggiava il Natale accompagnati da un ingannevole tepore.
Un altro anno di politiche irresponsabili, miopi, egoiste e di corto respiro non farebbe altro che acuire queste crisi. Ma è quello che rischia di attenderci.
Il 2 gennaio uscirà nelle sale italiane “Sorry we missed you”, il nuovo film di Ken Loach. Farà bene vederlo, per riaccendere i motori dell’indignazione e della passione civile. Per continuare a pensare che, se questo mondo fa letteralmente schifo, non dobbiamo essere solo i più ostinati a denunciarlo, ma soprattutto i più coraggiosi a cercare di cambiarlo.
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