“Vogliamo davvero un mondo in cui le persone lavorano sotto una simile pressione, con ripercussioni devastanti sulle loro amicizie e sulle loro famiglie e un restringimento delle loro vite? Qui non si tratta del fallimento dell’economia di mercato, al contrario, è la sua logica evoluzione!” Ken Loach.
E’ questo la domanda, con la sua ovvia risposta, che il pluripremiato regista Ken Loach pone allo spettatore con il suo ultimo film: ”Sorry we missed you”. Un film di denuncia, quindi, alla sua maniera. Un testimone del nostro tempo, un regista che ha dedicato la sua intera opera cinematografica alla rappresentazione delle condizioni di vita dei ceti più deboli. Figlio di operai, nasce a Nuneaton, nel ’36, nella contea del Warwickshire, in Inghilterra.
Loach, con questo film, pone, ancora una volta, al centro della propria riflessione il tema della dignità. La dignità del lavoro come chiave essenziale della questione sociale in un tipo di economia, quella di oggi, fatta di precarietà, la gig economy (il modello di economia digitale o dei lavoretti), che muta le sue dinamiche ma il cui sfruttamento è vecchio come il mondo; a pagarne le conseguenze, sempre loro!: i lavoratori sulla soglia della povertà come Ricky e la sua famiglia. “Mentre la borghesia parla di conciliare vita professionale e vita privata, la classe operaia è costretta a far fronte alle necessità”, questo il pensiero espresso dal regista.
E’ la storia della famiglia Turner, in cui Ricky (Kris Hitchen) e la moglie Abby (Debbie Honeywood), reduci del crack finanziario del 2008, sommersi dai debiti, sono alla ricerca dell’occasione per riconquistare una vita fatta di normalità insieme ai figli Seb (Rhy stone) e Liza (Katie Proctor).
Ecco che l’occasione sembra palesarsi grazie alla possibilità per Ricky di diventare un corriere, imprenditore di sé stesso, con un proprio furgone (che verrà acquistato dando come anticipo il ricavato della somma di denaro riveniente dalla vendita dell’auto della moglie Abby, infermiera – badante, che d’ora in poi dovrà utilizzare i servizi pubblici per recarsi al domicilio dei propri assistiti), adibito alla consegna di pacchi e pacchetti acquistati on line. Ma a controllare Ricky in ogni momento della giornata sarà un dispositivo tecnologico, straordinario, “la pistola”, che, attraverso il rimbalzo del segnale da un satellite all’altro (chissà dove sono..), ne detta i percorsi, le soste; che consente al cliente di monitorare costantemente ed esattamente il luogo della propria spedizione, con il risultato che il corriere deve “sbattersi” all’interno del furgone, andando da un punto all’altro della città, di strada in strada, correndo a perdifiato per soddisfare le esigenze e i tempi dettati dalla tecnologia. A ciò si aggiunge l’inflessibile, e un po’ stronzo, Maloney (Ross Brewster), il capo del deposito di distribuzione delle consegne, dai modi diretti e spicci, che si interessa solo a che gli autisti svolgano bene il proprio lavoro e non vuol saperne dei loro problemi.
Accanto a Ricky, lei, Abby, una badante sfruttata, sull’ orlo del crollo, che lavora sodo tutti i giorni, avendo libere solo quattro sere su sette per prendersi cura dei figli e che ha come datore di lavoro un’agenzia che riceve lavori in subappalto dai comuni o dalle case di cura private che ottengono i contratti perché praticano prezzi bassi. E poi Seb, 16 anni, sempre più lontano dalla scuola e più vicino ai guai, che ha un talento artistico e creativo (art street) di cui nessuno si rende conto, e Liza, una ragazzina sveglia e triste, dai capelli rossi come il padre, che si affanna per tenere unita la famiglia.
Un bel film. Un film-documentario, sulla scia di “Io, Daniel Blake” – la storia di un 60enne che dopo aver lavorato tutta la vita, a seguito di un attacco cardiaco, ha bisogno dell’aiuto dello Stato che gli viene negato – dalla sceneggiatura potente (affidata anche in questo caso a Paul Laverty), che offre allo spettatore l’occasione di guardare e di riconoscere come autentiche le persone che vede sullo schermo, che lo rende partecipe dei loro drammi familiari, dei loro problemi, della loro umanità; con un finale che non lascia spazio ai buonismi di maniera.
Il film, una produzione indipendente, distribuito da Lucky Red, sarà in sala a partire dal 2 gennaio prossimo.