Rapporto Carta di Roma. Continua a crescere l’attenzione mediatica al tema. Ma dopo anni il fenomeno si normalizza: non c’è correlazione tra sovraesposizione e insicurezza percepita. La percezione ritorna ai livelli degli anni 2013-2014. Diamanti: “E’ l’abitudine: questa ridondanza produce effetti contro-intuitivi”
di Eleonora Camilli
ROMA – Per la prima volta dopo anni si rompe la correlazione tra la sovraesposizione mediatica mediatica delle notizie riguardanti i migranti e l’insicurezza percepita. Il binomio alla base della propaganda politica populista viene così a cadere, semplicemente per abitudine, o meglio per la normalizzazione del fenomeno. Lo registra “Notizie senza approdo” il settimo rapporto di Carta di Roma, realizzato dall’Osservatorio di Pavia e dall’associazione Carta di Roma. L’analisi del contenuto sulle prime pagine è stata svolta su un campione di cinque quotidiani – Avvenire, La Stampa, Il Giornale, La Repubblica, il Corriere della Sera e Il Fatto quotidiano. Il campione dell’analisi delle news include le edizioni prime time dei notiziari delle tre reti Rai ( il Tg1, il Tg2 e Tg3) delle tre reti Mediaset – Tg4, Tg5 e Studio Aperto e il TgLa7.
Come in passato, spiega il report 2019, gli eventi e le dichiarazioni che riguardano o ruotano attorno all’immigrazione e ai suoi protagonisti continuano a essere considerati dall’informazione come tema altamente notiziabile: in crescita sulle prime pagine dei quotidiani (il 30% in più rispetto all’anno precedente) e stabile nei telegiornali di prima serata, con il I semestre del 2019 che dedica all’immigrazione il numero più alto di servizi degli ultimi 15 anni, pari a quanto registrato nel secondo semestre (pre-elettorale) del 2017.
Ma, dopo anni, trova conferma l’ipotesi di una assenza di correlazione tra la quantità̀ di esposizione mediatica del fenomeno e l’incremento della percezione di insicurezza delle persone. Da questo punto di vista il 2019 risulta emblematico: una grande e continua attenzione al tema e un calo di dieci punti dell’insicurezza percepita nei confronti degli “stranieri”. Una percezione che torna ai livelli del biennio 2013-2014, anni che hanno preceduto la grande esposizione mediatica del tema. Il quadro – reale – della presenza straniera in Italia resta, in compenso, stabile, con una percentuale nel 2019 pari all’8,7%, del tutto in linea con i dati degli anni precedenti.
“La frequenza delle notizie, sui giornali e sui notiziari televisivi, continua ad essere elevata. Anzi, elevatissima, soprattutto dopo il 2015. Con qualche pausa e qualche variazione. Ma in misura costante. E, complessivamente, in crescita. Anzi, nel primo semestre del 2019, le notizie dedicate all’immigrazione toccano i valori più alti dell’ultimo decennio, insieme a quelli del II semestre 2017, quando, di fatto, si aprì la campagna elettorale in vista del voto del 2018 – spiega Ilvo Diamanti, tra gli autori del rapporto, docente all’università di Urbino e direttore scientifico di Demos&Pi -. Così, dopo anni di interazione stretta fra percezione e rappresentazione, l’immigrazione sembra essere divenuta meno centrale, nel sistema dell’informazione. Certo, non è finita fuori scena, ma non è più al centro dell’attenzione sociale. Almeno, rispetto agli ultimi anni. Si tratta di una novità, perché i due orientamenti, percezione e rappresentazione, si sono “inseguiti” a lungo. Indifferenti all’andamento della realtà. Visto che le misure dell’immigrazione sono, da tempo, costanti. Cioè, assai lontane, e minori, rispetto alla retorica dell’invasione”. Secondo Diamanti anche se la convinzione dei “narratori della paura” è che, alla fine, la realtà si sarebbe adeguata. E la “percezione” avrebbe rispecchiato la “rappresentazione”, i tempi sono cambiati cambiati. e la percezione si sta “arrendendo”. “La chiave interpretativa utilizzata, per spiegare questa tendenza, fa riferimento all’abitudine – spiega – al senso di assuefazione di fronte a messaggi proposti e reiterati a lungo e da lungo tempo. Alla fine, questa ridondanza produce effetti contro-intuitivi. In quanto normalizza eventi e processi che, proprio perché ripetuti e amplificati, smettono di spaventare. Mentre diventano un ritornello quotidiano, entrano nella quotidianità”. Allo stesso tempo l’attenzione sugli sbarchi e sui flussi migratori, riflette logiche sia politiche che mediatiche: “gli sbarchi, i migranti, gli stranieri generano preoccupazione – spiega – talora paure. E le paure fanno spettacolo. Alzano l’audience. A lamentarsi, semmai, oggi dovrebbero essere i migranti. Gli unici a non guadagnarci, in questo spettacolo di successo… Anche se oggi questo spettacolo sembra riscuotere “meno” successo. Per abitudine e per noia, più che per un effettivo cambiamento di valori e di atteggiamenti, nella società. Così è possibile che l’obiettivo e l’attenzione dei media si orientino altrove. Verso altri protagonisti e altri attori. Lasciando i migranti sullo sfondo. Non è detto che sia, necessariamente, un male”, conclude Diamanti.
Stando ai dati le prime pagine dei quotidiani segnalano l’aumento di visibilità di due temi: la gestione dei flussi migratori (prima voce con il 51%) e la dimensione della società e della cultura (seconda voce con il 23%, 5 punti in più rispetto alle rilevazioni degli ultimi anni). Fa da contraltare la contrazione del tema dell’accoglienza che si dimezza rispetto all’anno precedente (collocandosi al quarto posto con il 9% di attenzione). Diminuiscono le notizie da prima pagina con un tono allarmistico per attestarsi nel 2019 su una percentuale del 18%, sei punti percentuali in meno del 2018. Il valore più basso negli ultimi 5 anni di rilevazione.
Permane la pervasività del tema sulle prime pagine: sono solo 29 i giorni senza copertura alcuna. L’analisi lessicale condotta sui termini “migrante”, “rifugiato” e “profugo” segnala che l’uso di tutti i termini segue una curva dall’andamento dapprima crescente, con picco nel 2015, per rifugiato, profugo e migrante e nel 2014 per immigrato, e poi decrescente. Nel 2018 la frequenza d’uso di tutti i termini è comunque più elevata rispetto al 2013 mentre nel 2019 si registra un forte calo nell’uso di tutti i termini ad esclusione di migrante. Inoltre, se da un lato sono rari i casi in cui i rifugiati e i profughi vengono rappresentati come individui dotati di capacità di azione e controllo, dall’altro, quando ciò accade, l’orientamento dei titoli è prevalentemente negativo. Trova conferma una tendenza già emersa nel 2018: la centralità della politica che occupa la scena dell’immigrazione: in oltre 1 servizio dei telegiornali su 3 è presente la voce di esponenti politici e istituzionali. Nei notiziari, nel 2019 si ritrovano i valori più alti del quinquennio per la categoria tematica “Flussi migratori” con il 48% dei servizi connessi a eventi e dichiarazioni relativi a partenze, arrivi, porti, navi. Allo stesso tempo si osservano i valori più bassi degli ultimi 5 anni per la narrazione dell’Accoglienza (8%).
Nei notiziari, su 304 giorni analizzati, solo 1 giorno non ha notizie di immigrazione. Il dato complessivo del 2019 vede la presenza in voce di migranti e rifugiati pari al 7%, con una netta prevalenza maschile: 86% uomini e 148% donne. Sono state individuate cinque cornici principali dentro le quali sono inserite le interviste ai migranti mandate in onda dalle testate del prime time: fragilità e debolezza (connesse agli arrivi via mare e all’accoglienza); alterità e minaccia; rivendicazione; comunità integrate e razzismo. La maggior parte delle interviste è focalizzata sul tema dell’emergenza, ed è declinata secondo un frame conflittuale e emergenziale.
L’analisi delle categorie socio-economiche coinvolte dimostra ulteriormente la “politicizzazione” del dibattito sull’immigrazione, declinato, prevalentemente, in chiave di confronto politico privo di approfondimenti e di tematizzazione. Una struttura narrativa così chiusa e rigida impedisce la costruzione di una contro-narrazione: tutte le voci principali partecipano al frame egemonico, che descrive l’immigrazione come un luogo di conflitto tra le cosiddette élite dominanti e il popolo che cerca di tutelare la propria identità. Le poche interviste che cercano un racconto alternativo dell’immigrazione, fuori da questo schema (racconti di buone pratiche di integrazione, di iniziative dal basso, tematizzazione dell’immigrazione e individuazione della complessità delle cause e degli effetti) appaiono del tutto marginali.