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Piazza Fontana: cinquant’anni e sentirli tutti

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Alle quattro di pomeriggio, quando era oramai chiaro che la catena umana musicale per Pino Pinelli si sarebbe trasformata in uno sgarruppato corteo/flashmob/scampagnata, la battuta che passava di bocca in bocca era: “si vede che l’hanno organizzata gli anarchici”. Ma non c’era disprezzo in quel luogo comune, anzi si riconosceva un mix di ammirazione e simpatia per quello che la famiglia di Pinelli, la diciottesima vittima innocente di Piazza Fontana, era riuscita ad organizzare insieme ad un gruppo di amici fraterni e a quell’associazionismo sempre disponibile a dare una mano a iniziative di progresso. E quindi nel sabato pomeriggio della corsa agli acquisti natalizi, nel salotto chic di Milano, migliaia di persone hanno reso omaggio al ferroviere anarchico, cantando in coro “Addio Lugano bella” (…ed è per voi sfruttati, per voi lavoratori, che siamo ammanettati al par dei malfattori…). Partenza da Piazza Fontana, dove da pochi giorni sono state fissate all’asfalto 18 formelle che ricordano i 17 morti della bomba più una che ricorda che sono stati i fascisti di Ordine Nuovo a farla esplodere. Piazza Fontana dove – segno indelebile che non può esserci storia condivisa finché non c’è giustizia – ci sono ancora due lapidi: quella istituzionale che definisce Pinelli “morto” e quella messa dai movimenti degli anni ‘70 che definisce Pinelli “ucciso”.

Da lì le persone, in questo sabato di shopping, hanno cominciato a sgranarsi, sono spuntate chitarre, violini, tamburi, perfino un’arpa, e i testi delle canzoni: la catena umana ha provato a svilupparsi, ma poi, vuoi per la tortuosa conformazione del centro di Milano, vuoi per il desiderio di vedere cosa succedeva un poco più avanti, l’ordine di rimanere in catena è stato disatteso e la catena umana è diventata un corteo, dove invece degli slogan si cantavano canzoni di lotta. Sulla carta quella manifestazione doveva arrivare davanti alla Questura, il palazzo da cui Pinelli volò la notte del 15 dicembre 1969; nella pratica l’iniziativa della famiglia Pinelli si è dovuta fermare a qualche centinaio di metri. A conferma, appunto, che la storia non si può forzatamente “condividere”, neppure 50 anni dopo. Ma i partecipanti non sembravano soffrirne e la “catena musicale” si è fermata in piazza Cavour. Claudia e Silvia, con un piccolo megafono, hanno intonato una versione speciale della Ballata per Sacco e Vanzetti, dove il ritornello è diventato: “è per te Pinelli, è per te, il nostro canto ricorderà la tua agonia, dentro di noi il tuo ricordo resterà”.

Questa manifestazione è arrivata quasi a conclusione di un periodo di celebrazioni della strage di Piazza Fontana, periodo che ha avuto due momenti particolarmente significativi: il primo quando il sindaco di Milano Beppe Sala ha chiesto perdono alla famiglia Pinelli (sembrerà strano ma nessuno l’aveva fatto prima) e il secondo quando il Presidente della Repubblica ha incontrato le vedove di Pinelli e Calabresi (il commissario che aveva la responsabilità dell’interrogatorio del ferroviere anarchico, ucciso anni dopo). In quell’occasione Mattarella ha riconosciuto – tra l’altro – che i depistaggi di apparati dello stato hanno impedito l’accertamento della verità.

Cinquant’anni dopo dunque tutto è più semplice? No, la distanza da quei fatti permette solo di vivere quei ricordi senza l’asprezza dello scontro politico, del pericolo della svolta autoritaria a cui puntava la strategia della tensione. Claudia Pinelli lo ha detto bene ad un dibattito in questi giorni: “adesso tutti sono pronti a dire che mio padre era innocente, a ricordare il suo passato da partigiano, l’impegno pacifista, perfino la sua passione per l’esperanto, ma quando c’è da affrontare la sua morte c’è ancora reticenza”. E se adesso, cinquant’anni dopo, le istituzioni cominciano finalmente ad ammettere le proprie responsabilità un pezzetto di merito va riconosciuto a tutti quei giornalisti che non hanno creduto alle bugie di stato: grazie a loro e grazie alla reazione popolare si può sapere oggi quasi tutto su esecutori e mandanti di una strage che voleva trasformare l’Italia in un regime autoritario.


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