Robert Louis Stevenson condizionato dall’austera religiosità dei Puritani di Scozia si nutriva del moralismo borghese, usandone le regole contraddittorie per confondere le idee al lettore, per spingere a riflettere su come ogni realtà manifestasse il suo doppio, la sua immagine speculare.
E’ probabile che proprio tra il settembre e l’ottobre del 1885 Stevenson concepisse l’idea del racconto. Egli stava rivedendo, la novella Markheim, primo approccio al tema del doppio ove un omicida, compiuto l’efferato delitto, disquisisce del suo agire con un individuo d’indole demoniaco/angelica che incarna la sua coscienza. Racconta il figliastro Lloyd Osbourne di come Louis avesse compilato in appena tre giorni la prima versione del breve romanzo ispirato da un terribile incubo. La moglie, Fanny Osbourne, lo trovò un mero esercizio di stile e Stevenson ne avrebbe bruciato il manoscritto: vera o no la storia del fuoco, ossessionato dal tema, Stevenson riscrisse tutto da capo in poco più d’un mese e mezzo. Il romanzo uscì a New York e Londra nel 1886. L’ottima recensione che «The Times» fece del libro ne decretò l’immediato successo. L’entusiastica accoglienza più che al suo intrinseco valore letterario si dovette alla presunta esemplarità morale della vicenda.
Quantunque i personaggi dei suoi romanzi siano giunti ad avere valore didascalico, metaforico, Stevenson ebbe poca fortuna tra i suoi contemporanei: l’ostracismo si traspose nell’iniziale mancanza d’interesse da parte degli editori italiani alla sua opera.
La sua prosa sottile, meticolosa, a volte svagata si nutre dell’infatuazione verso i classici della letteratura, dei modelli dei prediletti romanzieri Dumas, Balzac, Poe, Dostoevskij, combinandosi con l’interesse per la struttura del racconto come l’argano che aziona il meccanismo narrativo. Il gusto per una scrittura estetizzante che nasce dal piacere di narrare restò incompresa dalla critica, allora più propensa a domandarsi il perché anziché il come si scrivesse.
La vicenda di William Brodie, noto uomo d’affari e intagliatore – alcuni mobili di casa Stevenson portavano la sua firma – che di notte per il gusto del brivido si trasformava in scassinatore, influenzò Louis nella caratterizzazione del personaggio principale del romanzo. I fatti concernenti Brodie, erano già stati raccontati dal giovane scrittore in una commedia, Deacon Brodie or The Double Life, rielaborata poi con la collaborazione di W. E. Henley e rappresentata nel 1882. Stevenson, pubblicò con la Society for Psycological Reserch, il saggio Un capitolo sui sogni dove egli si descrive come due persone in una sola anticipando la tematica che poi sarebbe stata sviluppata. Il racconto all’epoca doveva apparire tutt’altro che rassicurante e infatti trovò un posto di rilievo nel mondo del romanzo giallo e noir.
Carlo Fruttero e Franco Lucentini tradussero Dr. Jekyll nella collana «Scrittori tradotti da scrittori» per la casa editrice Einaudi annotando una Cronologia del romanzo; essa ci permette di situare la vicenda tra l’ottobre del 1880 e il febbraio/marzo del 1882 oppure di supporre il 1850 come anno di nascita di Henry Jekyll e la metà degli anni Settanta per Edward Hyde. Tutti questi dati, circostanziati da informazioni come quelle forniteci sull’illuminazione stradale e su forme del linguaggio medico ci permettono di dare al testo di Stevenson una ulteriore possibilità di lettura.
Nel dicembre del 1894 Stevenson morì sull’isola di Vailima colpito da un ictus, terminando così la sua avventura artistica e umana. Forse mai come in questo testo, aveva rivelato le contraddizioni della natura, fuggendo illusioni regressive e reazionarie. Per lo scrittore scozzese il bene e il male sono inganni dei sensi, esistendo solo il caso, e la scrittura è arbitrio e onnipotenza: il male non stava quindi nell’avere doppiezza nell’indole, un io buono e uno terribile, ma nel cercare di farne due realtà distinte, nell’ipocrisia di imporsi leggi morali e di fuggirle poi fingendosi a volte, per comodo, nuove identità.
Forse il capolavoro dell’autore di Edimburgo Dr. Jekyll può essere considerato l’origine del romanzo del terrore moderno. Non più un luogo misterioso, cupo notturno dove si muovono larve e fantasmi, ma la quotidianità in cui strisciante si cela il mostro. E il mostro sfugge le regole convenzionali del racconto di maniera per rifarsi in qualche modo metafora dell’orrore, ormai banale, a cui nemmeno prestiamo più attenzione.