Bisogna avere il coraggio di dirlo con chiarezza: l’Ungheria, così, non può restare in Europa. Un Paese che non riconosce i più elementari diritti, primo fra tutti quello a un’informazione libera, democratica e di qualità, non è compatibile con i princìpi e i valori fondanti del Vecchio Continente.
Spiace dirlo, ma Viktor Orbán non può essere considerato un leader occidentale, a meno che non siamo disposti a rinunciare a sette decenni di conquiste sociali e civili e a una concezione dello stare insieme in cui non sono ammesse né censure né bavagli.
Come associazione, abbiamo già manifestato sotto l’ambasciata ungherese, come abbiamo manifestato più volte sotto quella turca e di fronte all’ambasciata egiziana per chiedere verità e giustizia per Giulio Regeni. Continueremo a batterci ma non basta più l’impegno dei singoli, delle associazioni e nemmeno di importanti organizzazioni sindacali come l’USIGRAI e l’FNSI. È necessario che si muovano i governi, a cominciare da quello italiano, per chiedere, anzi pretendere, che nessun paese europeo sia esentato dal rispetto delle regole di convivenza collettiva e che a nessuno stato sia consentito di mettere a repentaglio la vita e il lavoro dei cronisti.
Proprio come abbiamo escluso la Turchia, per la palese incompatibilità di Erdoğan con il concetto stesso di democrazia, allo stesso modo dobbiamo cominciare a interrogarci su Ungheria e Polonia, dove la revanche neo-fascista e neo-nazista ha ormai raggiunto livelli inquietanti e non è poi tanto raro assistere a manifestazioni in cui si inneggia al razzismo più bieco o addirittura ad Auschwitz.
Se l’Ungheria non tutela i giornalisti, se li imbavaglia e ne rende impossibile il lavoro, viene meno uno dei pilastri della democrazia liberale, il che dovrebbe essere sufficiente per richiamare ufficialmente il paese e, se necessario, espellerlo dall’Unione Europea.
Non è una questione politica: è una questione d’igiene, dalla quale dipendono le sorti del nostro continente e, probabilmente, il nostro ruolo in un mondo in cui la democrazia, almeno per come l’abbiamo conosciuta e intesa per decenni, non sembra essere più in auge.
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