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Assistenza per gli anziani: “Siamo all’età dell’immobilismo”

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Dopo la fase crescente dei primi anni Duemila e quella negativa seguita alla crisi, la fase stagnante di oggi. Cristiano Gori (Network Non Autosufficienza): “Il welfare deve adeguarsi ai cambiamenti sociali: basta confondere tra sanità e non autosufficienza”

BOLOGNA – In che fase siamo, adesso, nell’assistenza per gli anziani? “Questa è l’età dell’immobilismo”, risponde senza esitare Cristiano Gori, coordinatore del Network Non Autosufficienza, intervenendo alla plenaria della seconda giornata del Forum della Non autosufficienza e dell’autonomia possibile, in corso a Bologna in questi giorni. “In Italia c’è un’elevatissima eterogeneità territoriale, ma alcune tendenze si ripetono. Quante volte, chiedendo a chi lavora in questo campo l’andamento delle attività, mi sono sentito rispondere: ‘è tutto fermo’”. I primi anni Duemila sono stati gli anni dello sviluppo, con politiche che avanzavano spedite e aspettative positive. Poi c’è stata la crisi e la tendenza si è invertita: l’offerta di servizi e interventi è entrata in una fase calante, le aspettative hanno cambiato segno. “Così siamo arrivati a oggi, con un’offerta stabile di servizi e interventi e una totale incertezza sul futuro anche da parte degli operatori”.

Gori sottolinea un’ampia e articolata produzione regionale di atti e norme, orientati principalmente – se non esclusivamente – alla manutenzione dell’esistente, a un fitto lavoro di verifiche e controlli e a un ridisegno istituzionale: “Capita spesso che, non volendo/potendo cambiare/adeguare il contenuto, la politica opti per cambiare il contenitore – sintetizza –. C’è tanta innovazione per pochi. Assistiamo a una notevole diffusione di esperienze sperimentali e innovative nei territori, promosse da enti pubblici e privati, ma c’è una grande difficoltà a tradurle in interventi delle politiche a regime. Le sperimentazioni devono essere replicabili a livello di sistema, sennò sono fini a sé stesse”. Secondo Gori, è necessario investire sì in nuovi servizi, ma anche migliorare e/o modificare quelli esistenti, adattandoli al cambiamento dei bisogni e rafforzando il coordinamento tra tutti gli attori coinvolti, a partire dalla presa in carico.

Un cambio di prospettiva è quello che chiede il Network, perché il sistema si adegui ai cambiamenti sociali indiscutibilmente più forti che in passato. Perché certo la popolazione anziana è in continua crescita ma, oltre che da un punto di vista quantitativo, va letta qualitativamente: “Registriamo la difficoltà a modificare il profilo delle risposte del welfare in modo da tenere il passo con i mutamenti della società. Gori passa in rassegna i tre nodi principali. In primis, la diffusione delle demenze, fenomeno di cui si parla ormai da oltre 10 anni: “Il welfare è ancora troppo orientato verso le limitazioni funzionali e non verso i deficit cognitivi”. Poi c’è la questione economica, che va a indagare il legame tra non autosufficienza e impoverimento: “Vengono tutelati gli anziani non autosufficienti in povertà, non di quelli a rischio di diventarlo. In pratica, non si fa prevenzione”. Infine ci sono le reti informali, e l’aumento degli anziani senza familiari in grado di assisterli: “Il modello italiano di welfare, modello decisamente ‘familista’, presuppone la presenza di familiari in grado di assistere gli anziani. Ma sono sempre più le persone che sono accolte in struttura perché non hanno nessuno, anziani senza figli o con un coniuge fragile. Tutto il nostro sistema di welfare è costruito su un assunto: che ci sia almeno una persona che si prenda cura dell’anziano. Ma le cose stanno cambiando”.

Il punto cruciale, denuncia Gori, è la confusione che si fa tra non autosufficienza e sanità: “È difficile imporre il paradigma della cura – care – rispetto a quello sanitario – cure. E invece è proprio quella la strada. L’unico segmento che si muove in questi anni è quello dei servizi post ospedalieri. Per essere seguito, l’anziano deve essere almeno un po’ malato”.

Una situazione, questa, figlia anche di quello che Gori definisce “il difficile rapporto con la politica. Si parla di una riforma strutturale della non autosufficienza da metà degli anni Novanta. In generale sono 4 le aree ritardatarie del welfare in Italia: disoccupazione, povertà, famiglie con figli, non autosufficienza. Per i primi due ambiti, una riforma strutturale e un robusto investimento economico ci sono stati. È comprensibile, nel post crisi sono quelle le prime aree su cui si interviene. Questo è comunque un buon segno, significa che la politica sta tematizzando. Ma c’è una domanda alla quale non possiamo sottrarci: perché c’è una scarsa attenzione della politica nei nostri confronti? Una risposta univoca non esiste, ma alcuni aspetti possono essere presi in esame”. Tra gli argomenti più diffusi, una rimozione collettiva; la mancanza di una domanda forte da parte della popolazione interessata (“Aspetto che stupisce, ma da non sottovalutare”); la debolezza dei soggetti organizzati e di rappresentanza; la “competizione” tra i settori del welfare; la confusione tra previdenza sanità e non autosufficienza. “E poi c’è la scarsità di proposte spendibili. Spesso di rimproverano di lamentarci troppo e di fare poche proposte. Insomma, il quadro è ampio: basta cominciare, ogni diagnosi porta con sé una pista di lavoro”.

Da redattoresociale

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