“Non perdono, non dimentico ma non odio. E ai ragazzi che vengono ad ascoltarmi, a cui parlo come fossero i miei nipoti, cerco di trasmettere il messaggio che non usare un linguaggio di odio è un ammaestramento utile per tutti. Perché è sul linguaggio di odio che si costruisce poi l’odio organizzato che io stessa ho visto tradursi in sterminio”. Con un messaggio di Liliana Segre registrato all’Università Bocconi si è aperto il convegno “Parole d’odio e violenza di genere – Giornaliste nel mirino degli odiatori della rete” organizzato alla Federazione Nazionale della Stampa dalla Commissione Pari Opportunità della Fnsi, dell’Usigrai, del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, da Giulia Giornaliste e da Articolo 21, in occasione della Giornata contro la violenza delle donne del 25 novembre. “Perché combatto il linguaggio di odio? Perché è una cosa profondamente radicata dentro di me”, ha aggiunto Segre nel video messaggio trasmesso al convegno formativo, nella sala Walter Tobagi.
La fotografa delle proteste cilene Daniela Carrasco, così come Daphne Caruana Galizia e Anna Politkovskaja, alcune delle giornaliste assassinate ricordate dalla presidente della Cpo Fnsi, Mimma Caligaris, prima di dare la parola alle colleghe vittime degli odiatori della rete. La freelance Sara Lucaroni, testimone delle brutture del regime siriano. Monica Napoli di Sky Tg 24, stigmatizzata per aver fatto, semplicemente, il suo lavoro: porre domande e rettificare risposte sbagliate. Antonella Napoli, applaudita nel momento in cui ha spiegato che “dopo le pressioni ricevute per non tornare in Sudan, ovviamente sono ritornata in Sudan”. Per arrivare a Federica Angeli, la giornalista che ha scoperchiato il caso del clan mafioso degli Spada a Ostia e che, di fronte a minacce pesantissime non solo nei suoi confronti ma anche verso i suoi figli, ha raccontato di aver opposto “i miei sorrisi sui social che nelle intercettazioni delle mogli del clan le facevano impazzire: ma come? Perche questa sorride e non ha paura? Dicevano le mogli”.
Disarmare il nemico uscendo dalla logica della rabbia, il senso della sua esperienza magicamente allacciata all’esempio di Segre: mai scendere al livello dell’odio. Ancora Angela Caponnetto, della RAI, vittima di hate speech per il suo impegno nel raccontare i migranti. Angeli, come Caponnetto, hanno ribadito l’importanza di una rete di supporto per non rimanere sole: come quella della Fnsi che, nel caso della Angeli, si è costituita parte civile nei processi contro il clan Spada oltre a sostenere la collega accusata anche di fronte a una commissione parlamentare di collusioni con gli stessi clan mafiosi di Ostia.
Interessantissima l’analisi di Vox sulla mappa dell’odio in Italia condotta con l’Università di Bari e presentata da Silvia Brena. “Come si combatte l’odio sui social? – ha osservato Brena elevando a teoria accademica l’esperienza empirica di Angeli – opponendo uno spettro di esperienze ed emozioni positive”. Proprio per approfondire il tema del linguaggio d’odio che colpisce le donne, e in particolare le giornaliste, e che nasce dalle notizie dei nostri giornali, GiULiA giornaliste e Vox hanno lanciato insieme un progetto di ricerca che si svilupperà nei prossimi mesi.
Al convegno ha partecipato anche la ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti che ha insistito sull’importanza “dell’uso corretto delle parole nella narrazione della violenza contro le donne”. Un tema su cui Cpo e Giulia – al tavolo con la presidente Silvia Garambois – hanno lavorato con la stesura del Manifesto di Venezia, sul corretto linguaggio di genere e sulla narrazione delle violenze, stilato nel 2017 su spunto delle giornaliste del Veneto e firmato da migliaia di colleghi.
Al convegno – dove sono intervenute oltre a Caligaris e Garambois anche Monica Pietrangeli (Cpo Usigrai), Nadia Monetti (Cpo Ordine giornalisti), Anna Del Freo (segretaria aggiunta Fnsi), Elisa Marincola (Articolo 21), Roberto Natale (Carta di Assisi), Riccardo Noury (portavoce di Amnesty) e il presidente Fnsi Giuseppe Giulietti – è stato presentato anche lo spot realizzato dal sindacato RAI, Usigrai, in cui gli uomini dell’informazione hanno finalmente fatto la loro parte: dichiarando in video che “il problema della violenza sulle donne è un problema causato dagli uomini e si combatte cambiando la cultura maschile”.