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Anni di piombo e mafiascismo. Sciascia e le Brigate Rosse

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Per qualche istante ho tenuto in mano una dedica di Leonardo Sciascia al suo amico Mario Grasso. Come al solito, anche nelle poche righe, il grande moralista vaticinava il futuro, esorcizzandolo: nel giungere l’anno di Orwell, ne negava l’attualità. Oggi sappiamo che lo scrittore anarchico inglese aveva sbagliato solo di poco più di un decennio.

Come ben sappiamo, dopo Pasolini, trent’anni fa, ci lasciava l’altro grande profeta laico del nostro sventurato paese. Nel frattempo la “linea della palma” è giunta in Scandinavia, non per effetto del clima.

Nelle ipocrite commemorazioni giornalistiche, per i trent’anni dalla scomparsa di Sciascia, si è artatamente voluto ricordare un falso storico: attribuire al grande racalmutese l’affermazione: “né con lo stato, né con le brigate rosse”. L’espressione era soltanto riferita a dei giudici popolari di Torino, che avevano rifiutato l’incarico per paura dei terroristi. Mentre non fa comodo ricordare- sul tema-  il concetto sciasciano che le Br avrebbero avuto fine quando la loro azione avrebbe portato alla stabilizzazione del potere, costituito da un intreccio tra corruzione e violenza. In estrema sintesi: la mafia al potere.

Il giornalismo italiano faceva carriera seguendo gli interessi dei potenti, di ogni genere. Chi non lo ha fatto difficilmente raggiunge la poltrona di direttore. Il servilismo spinge alla mistificazione ed alla spoliazione dei significati. Nel 1981 la Von Trotta diresse il capolavoro “Anni di piombo”, dove il titolo non si riferisce al terrorismo, ma agli anni successivi alla sua sconfitta, quelli che stiamo ancora vivendo, dove, grazie al terrorismo, si è ottenuta quella “stabilizzazione” profetizzata da Sciascia. Qualcuno ha inventato il nome per questo periodo storico-politico mondiale: mafiascismo.


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