BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Le minacce e le querele temerarie contro i giornalisti viste da chi li difende in aula. Intervista all’avvocato Giulio Vasaturo

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Le querele temerarie e le aggressioni ai giornalisti viste da chi le segue direttamente in aula, spesso dopo aver ascoltato il cronista spaventato, il freelance che teme di non poter pagare neppure le spese legali, dopo aver letto atti che raccontano l’inaudita violenza, il dileggio verso la stampa. Tutto questo fa da anni l’avvocato Giulio Vasaturo, legale della Fnsi nei processi in difesa dei giornalisti aggrediti e come parte civile per conto degli organismi di rappresentanza dei giornalisti italiani. Lo abbiamo sentito a poche ore dall’iniziativa di Articolo 21 (con cui collabora) che punta ad ottenere atti concreti e modifiche legislative contro chi aggredisce i giornalisti con atti illeciti e azioni giudiziarie.

Da anni lei rappresenta nelle aule giudiziarie i giornalisti minacciati. Cos’è cambiato negli ultimi anni sul fronte della tutela dei cronisti che raccontano la criminalità organizzata?

Appena qualche giorno fa, la Cassazione ha confermato in via definitiva la condanna a carico di Roberto Spada, responsabile della feroce aggressione con metodo mafioso perpetrata nei confronti del giornalista di “Nemo” Daniele Piervincenzi e del suo operatore. In questi ultimi anni, la magistratura ha mostrato di cogliere in pieno la gravità della violenza mafiosa, anche quando rivolta contro chi opera per garantire in concreto l’art. 21 della nostra Costituzione. Tutte le richieste di costituzione di parte civile della FNSI e dell’Ordine dei Giornalisti hanno trovato immediato accoglimento nei vari processi per fatti che hanno leso, insieme ai diritti individuali di un cronista, il diritto collettivo alla libera informazione. Ancora molto c’è da fare. Ma questi sono tutti segnali di un’evoluzione culturale e giurisprudenziale che rafforza le ragioni del nostro impegno.

Com’è il rapporto fra l’avvocato ed un giornalista minacciato?

Inevitabilmente il rapporto fra l’avvocato ed un cronista sotto tiro è connotato da un legame che è anzitutto umano e che va al di là dell’approccio propriamente professionale. L’avvocato è colui a cui spetta di erigere uno “scudo” a tutela del giornalista; uno scudo con cui respingere le false accuse, le minacce strumentali, le calunnie, gli abusi del diritto di querela che costituiscono sempre più spesso gli strumenti preferenziali a cui ricorrono i piccoli e grandi potentati per condizionare il lavoro dei “giornalisti dalla schiena dritta”, come li chiamava Roberto Morrione. In questi anni, ho imparato tanto dai giornalisti che ho avuto il privilegio di assistere. Da loro ho appreso che non bisogna avere mai paura della verità e che non bisogna mai smettere di cercarla. E’ un monito che, a mio avviso, vale tanto per i giornalisti quanto per noi avvocati penalisti.

Nei giorni scorsi si è verificato un gravissimo atto intimidatorio a danno di un giornalista nei pressi di Aversa. Cosa ha provato?

La camorra colpisce i giornalisti che, loro malgrado, si ritrovano soli nel denunciare i misfatti dei clan. Spesso non si comprende quanto le testate locali, i giornali free press, i blog siano determinanti per impedire le più spregiudicate operazioni immobiliari, le speculazioni finanziarie o le infiltrazioni negli enti territoriali dei vari clan. I cronisti di frontiera come Mario De Michele fanno ogni giorno un lavoro prezioso, persino mortificato sul piano dei riconoscimenti economici, professionali, istituzionali. Con un pizzico di amarezza, ho pensato che solo ora, dopo questo gravissimo agguato da cui è uscito miracolosamente indenne, in tanti si accorgeranno finalmente dell’impegno fondamentale di questo giornalista di periferia.

Quali sono le priorità di riforma per salvaguardare il lavoro dei giornalisti che raccontano le mafie?

Da tempo sostengo che debba essere introdotta, nel nostro ordinamento penale, una nuova aggravante speciale per accrescere le pene nei confronti di coloro mirano ad attentare, con le loro condotte delittuose, alla libertà di informazione. Del tutto condivisibilmente, la Corte Europea dei Diritti Umani ci sollecita ad eliminare al più presto la pena detentiva in relazione al delitto di diffamazione a mezzo stampa, fatti salvi i casi estremi di incitamento all’odio razziale. Bisogna immaginare, inoltre, strumenti più efficaci per arginare il fenomeno delle querele e delle azioni civili temerarie, imponendo congrui indennizzi a carico di chi agisce, pretestuosamente, col solo intento di condizionare il lavoro giornalistico, attraverso l’avvio di estenuanti azioni giudiziarie destinate a concludersi, dopo anni, con la scontata archiviazione di ogni accusa a carico del cronista. Finora ogni iniziativa di riforma si è arenata nelle aule parlamentari. Confido però nell’attività del “gruppo di lavoro” appositamente dedicato ai “giornalisti minacciati”, creato all’interno della Commissione antimafia. Auspico davvero che si giunta ad una integrale riforma del quadro normativo a tutela degli operatori dell’informazione.

(nella foto, in primo piano, l’avvocato Giulio Vasaturo durante la conferenza stampa sul caso Alpi-Hrovatin)


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